Morire di Parkinson e positivi al covid: la solitudine dei pazienti e dei loro familiari

E’ una lettera accorata quella che ci è stata inviata dai familiari e dagli amici di un paziente che purtroppo è venuto a mancare alla fine di marzo a causa del Parkinson. Un uomo che è morto da solo, in una struttura di Ragusa, senza avere neanche il conforto dei familiari.

Si trattava, come scrivono i familiari, di un paziende affetto da Parkinsonismo ricoverato per covid e polmonite.

Ai familiari, oltre al dolore per la perdita del proprio caro, è rimasto anche il rimorso di non aver potuto dare l’estremo saluto al loro congiunto a causa delle misure anti contagio. E un augurio: che questo possa essere l’imput affinchè tutti possano comprendere che non è possile trattare i pazienti e i loro familiari così, ma piuttosto è importante che si conservi sempre quel rapporto umano che spesso è venuto a mancare in queste occasioni.

 Rigidamente isolato, non è stato possibile per loro poter comunicare con lui per un lunghissimo arco di tempo: “Il figlio, in questo lungo lasso di tempo, è riuscito a malapena a parlare 3 o 4 volte con i sanitari per conoscere le condizioni di suo padre. Poiché era risultato ancora positivo, era  stato trasferito in una struttura RSA covid dove ci era stato promesso un minimo di contatto telefonico con lui.

 Invece in dieci giorni non abbiamo avuto la  minima disponibilità dal personale.  O non rispondevano al telefono o argomentavano con quelle che hanno tutto il sapore di scuse,  che i pazienti dormivano già  (alle 20 di sera???), o cose del genere.
Poi finalmente per un paio di volte c’è stata la possibilità di un rapido saluto in videochiamata, fino ad un successivo ricovero ospedaliero in cui,  fino alla fine, è cessata ogni possibilità di contatto.
Comprendiamo le difficoltà pratiche se il personale è scarso ed i pazienti sono molti, però è francamente impossibile non vedere in questi comportamenti anche una notevole mancanza di umanità”.

Si sa di tante persone disperate per avere perso i  contatti con i propri familiari ricoverati, che non protestano per timore di ritorsioni sul loro congìunto: “Questo è terribile e inaccettabile in un paese civile e merita di essere posto all’ attenzione dei vertici delle strutture sanitarie, del pubblico e delle autorità.

Anche nei periodi più bui del 2020, in piena pandemia,  negli ospedali piombati nel caos, il personale infermieristico e gli Oss avevano la delicatezza di aiutare i pazienti e i loro cari con qualche videochiamata.

Del resto il personale sanitario possiede tutte le competenze per sapere quanto peso può avere l’aspetto psicologico e la consolazione di non sentirsi abbandonati, per il recupero dello stato di salute dei malati soprattutto se anziani. Più ancora, o quantomeno alla pari, in sinergia con le terapie mediche, l’empatia nei confronti della persona che sta soffrendo aiuta la ripresa del sistema immunitario e infonde fiducia e voglia di guarire”.

Infine, aggiungono: “Il nostro familiare purtroppo è deceduto pochi giorni fa senza avere la possibilità di un contatto con un familiare o un persona amica. Non ne facciamo il nome perché non intendiamo farne un caso personale. Intendiamo denunciare la situazione e sollecitare umanità e comprensione, per tutti i malati che si trovano nella stessa terribile situazione di isolamento forzato.

Spero che possiate aiutarci e aiutare loro, soprattutto, sappiate che non ci fermeremo, questa lettera è solo un primo tentativo di ottenere quanto riteniamo giusto e doveroso da parte dell’ Asp di Ragusa e della Regione Sicilia. Ma intendiamo portare questa rimostranza anche in altre sedi affinché a tutti i cittadini italiani sia riconosciuta la dignità di “persone” con pieni diritti anche quando costretti ad un ricovero.
L’ospedale non può diventare un carcere, covid o non covid, dove invece sembra che l’unica legge siano “i protocolli”.

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