MEGLIO GUARDARE IL CIELO

Qualche tempo fa ho letto un articolo apparso sulla rivista Il Mulino dal titolo L’ennesimo ritardatario della sinistra italiana, in cui l’autore affermava che Matteo Renzi non rappresenta il nuovo e che ciò potrà essere chiarito solo se il PD inizierà a dire la verità. Giusto, ma la verità è sempre un problema. Nel caso del Pd, un grosso problema. Ma andiamo con ordine.
Qual è la verità che il Pd dovrebbe dire per riportare il dibattito verso una prospettiva seria e fruttuosa per il Paese? Dovrebbe forse confessare che Renzi non rappresenta il nuovo, oltre ovviamente a sottolineare l’inconsistenza della nozione di novità come categoria politica. Bene, ma se il Pd improvvisamente si muovesse su questa linea di onestà intellettuale quante altre cose dovrebbe dire?
Per cominciare, a mio avviso, dovrebbe dichiarare qual è il suo credo e da dove viene una fede così cieca e commovente nel neoliberismo come strumento di benessere per la collettività. Per fare solo un esempio voglio ricordare le risposte di Letta alle domande sull’acquisto spagnolo di Telecom. Il succo era questo: cosa c’è che non va? E’ il libero mercato. Dov’è il problema?
In effetti il problema non lo vedono perché, per loro, non si tratta affatto di un problema. Negli stessi giorni subito un altro sincero marxista, Massimo D’Alema, accorreva a dare man forte: “Fu una scelta giusta, decise il ministro del Tesoro Ciampi” (Il fatto quotidiano). Quasi a ribadire che quando si tratta di applicare i dettami del neo liberismo, in modo radicale e al di là dell’aspettativa di qualsiasi lobbista pronto al banchetto come un avvoltoio affamato, si impegnano le forze migliori, gente seria e, appunto, solitamente uomini “di sinistra”, non quei saltimbanchi di destra.
E d’altra parte ci vogliono uomini fidati per portare avanti un progetto. Per essere bravi, per fare i “compiti a casa” come “ci chiede l’Europa”, ci vogliono persone affidabili ed educate. Allora se il Pd dovesse dire la verità e ricondurre l’operato dei suoi uomini ad una qualche matrice culturale ed economica, a cosa dovrebbe fare riferimento? Proprio nei giorni della faccenda Telecom, usciva il rapporto della commissione europea sulla competitività in cui, fra le altre cose, si lamentava l’eccessiva deindustrializzazione dell’Italia. Ma chi può prendersi il merito di un tale capolavoro? In altre parole chi è l’artefice della fine dello Stato italiano e della svendita di questo Paese?
Certo non è facile capire qualcosa dai discorsi sui giaguari o sui tacchini di Bersani. Ma è colpa nostra, d’altra parte abbiamo perso l’abitudine di occuparci di viscere di animali e volo degli uccelli già da tempo, ma sarà bene che ricominciamo a farlo dal momento che nulla di più troveremo nei discorsi “nuovi” e “giovani” di quel “geniaccio” di Renzi e certamente nulla di vero potremo trovare in Letta, bravo nipote di Letta, e “pronipote” di Napolitano.
Allora per iniziare facciamo alcune domande: chi, quando, e seguendo quale percorso culturale o ideologico, ha dato in pasto l’economia italiana ai mercati esteri? Chi ha regalato a Bruxelles il più importante degli strumenti di autorità e autodeterminazione di uno Stato ovvero la possibilità di una politica economica autonoma? Cosa significa in termini di democrazia, libertà, uguaglianza la fine dello Stato democratico?
Gli esponenti di sinistra mediaticamente rilevanti nascondono queste questioni sotto una retorica che presenta la realtà come un copione già scritto, determinato da sistemi economici immodificabili, realizzando in tal modo il contrario di quello che è il compito storico di un partito di sinistra ovvero la formazione di una coscienza sociale, la consapevolezza di avere doveri e diritti e la capacità culturale e materiale di rivendicarli. Il rifiuto, apparentemente inspiegabile, della figura di Rodotà come presidente della Repubblica, va esattamente in questa direzione.
D’altra parte la politica italiana non può essere compresa se non alla luce dei processi storici, economici che si svolgono a livello mondiale ed europeo. Non è segreta la derivazione europea dell’agenda Monti, come non dovrebbe esserlo nemmeno l’eterodeterminazione della politica italiana che da anni apre le porte al neoliberismo selvaggio, trasformando il Bel Paese in un malato terminale. Sono queste le questioni che bisogna porre sul tavolo: il paradigma del neoliberismo e l’uscita da esso, l’architettura non democratica delle istituzioni europee, il ruolo mistificatore dei partiti in Italia e la possibilità (o meno) di autodeterminazione per il popolo italiano.
Se invece vogliamo continuare a impostare il dibattito sulla scelta del leader del Pd evitando accuratamente i contenuti, in una sorta di versione degradata e degradante della querelle des Anciens et des Modernes, allora continueremo a non capire. Cambieremo canale disgustati e annoiati, che poi è proprio quello che il potere vuole.

 

 

 

 

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