L’ITALIA SUBISCE OGGI QUELLO CHE HA SUBITO IL MERIDIONE NEL REGNO SABAUDO

Le stesse politiche che tengono il Sud Italia al guinzaglio del Nord da oltre un secolo vengono oggi riproposte dall’Europa per mettere la museruola ad un Paese che negli ultimi vent’anni ha dimostrato di essere inaffidabile, incapace di reagire alle crisi e di sfruttare gli spazi aperti dal mercato unico.

Corsi e ricorsi storici. Se avessimo la possibilità di un colloquio con Gianbattista Vico, questi potrebbe tranquillamente incasellare la situazione attuale della politica economica italiana nella classica riproposizione di un film già visto. E’ di pochi giorni fa la notizia che il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha ottenuto dal Consiglio d’Europa la creazione di un fondo, che tra risorse nazionali ed europee, stanzia 1,5 miliardi di euro per favorire l’occupazione giovanile in cambio del via libera al bilancio europeo.

Ma quei soldi servono davvero? E soprattutto… In una partita come quella europea è un accordo conveniente per il nostro Paese?

La prima opposizione che salta subito all’occhio è il fatto che in una condizione di stagnazione, o peggio regressione dei consumi, sia in Italia che all’estero (le isole felici di Cina e Brasile stanno per essere lambite dallo tsunami), non si vede perché un’impresa debba assumere nuovo personale avendo già in atto nella stragrande maggioranza dei casi dei piani di “ottimizzazione” delle strutture produttive. Puoi portare il cavallo all’acqua, ma farlo bere… è un’altra storia.

Gli unici settori in cui forse questi incentivi potranno essere sfruttati a pieno sono quelli dell’assistenza domiciliare integrata. Così l’Italia si avvia ad essere un paese di santi, poeti, navigatori e… badanti.

Ma a cosa avremmo potuto destinare questo miliardo e mezzo di euro con risultati migliori rispetto a quelli previsti dal Governo? Il Ministero del Lavoro stima che otterremo l’assunzione diretta con le somme a disposizione del fondo di almeno 200mila giovani, ma sembra una stima un po’ gonfiata. Un calcolo più onesto arriva ad un massimo di circa 128mila unità. Alternativamente, destinando lo stesso importo a contributi a fondo perduto per la creazione di start up d’impresa in settori diversi dal commercio per un valore pari a 11mila euro a progetto, avremmo ottenuto lo stesso risultato in termini occupazionali con la differenza che si poteva incentivare la responsabilizzazione del giovane imprenditore, che non si sarebbe immesso un incentivo con effetto distorsivo nel mercato del lavoro e che a loro volta i giovani imprenditori avrebbero potuto assumere altri lavoratori o associarli in partecipazione ottenendo un non trascurabile effetto moltiplicatore. Se poi avessimo incentrato tali incentivi su alcuni settori in cui mancano le figure professionali di riferimento (vedere i dati Isfol per credere) avremmo potuto colmare il mismatch tra domanda ed offerta di lavoro che ci trasciniamo dietro da anni.

Ma se al posto di quel miliardo e mezzo contante avessimo chiesto altro? Non soldi, ma quote di mercato. Perché l’Europa è felice di dare gli incentivi all’occupazione e non transige sulla Politica Agricola, sulle quote di esportazione o sulla possibile creazione di industrie nazionali di rilievo in alcuni settori? La risposta è semplice: i contributi vanno bene perché al di là del pannicello caldo non comportano un aumento della concorrenzialità del Paese (contro le industrie francesi e tedesche) e tengono buona la popolazione, rendendo felici stuoli di politici a dir poco miopi. Riprendo qui, in modo succinto, quanto esposto nel 2011 dal Prof. Paolo Savona durante una lectio magistralis sugli effetti dell’unificazione italiana e sulla questione meridionale. Il prof. Savona, insieme al dott. De Bonis di Banca D’Italia e ad dott. Zeno Rotondi capo ufficio studi di Unicredit Banca, hanno condotto uno studio sull’impatto economico dell’unificazione italiana sui conti delle regioni italiane. Si tratta di un contesto diverso, di un tempo diverso, ma di un meccanismo simile. Oggi l’Europa ripropone all’Italia quel meccanismo che il Piemonte impose al sud Italia dopo l’unificazione. Lo scambio è questo: sussidi, in cambio di reddito, occupazione e industrie. Ma i secondi non vanno dove vanno i primi, anzi. L’Europa sussidia le aree depresse del continente, tra cui le aree obiettivo 1 in Italia (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata), per un motivo evidente: i sussidi che prendono la via del Mediterraneo tornano in modo più che proporzionale al Nord sotto forma di acquisti di beni e servizi che in quelle regioni non sono prodotti. Questo meccanismo comporta un travaso di ricchezza tra nord e sud Italia di 72 miliardi di euro l’anno. Figurati quale sia il flusso di denaro che va dai paesi del sud Europa a quelli del Nord? Incalcolabile. Questo flusso si sostanzia in acquisti di impianti produttivi, farmaci, prodotti semilavorati, materie prime, prodotti finiti, servizi assicurativi, bancari ed infinite altre cose. Un esempio? Il più grande broker mondiale di materie prime è svizzero. Ha sede in un luogo dove non puoi nemmeno fare un buco in giardino, ma paga là le tasse sulla sua attività di compravendita nel mondo. Noi parliamo di sviluppo, ma la verità è che grazie a questo infinito flusso di denaro in uscita, ogni anno dobbiamo ricominciare non da zero, ma meno qualcosa.

Come si supera questa impasse? Savona suggerisce un patto tra rete distributiva e rete produttiva, ovvero che i prodotti del proprio territorio vengano venduti in loco evitando di esportare dall’esterno quanto non strettamente necessario e che siano aperti realmente ai produttori meridionali i mercati esteri, attraverso la concessione di spazi commerciali e quote di mercato. Ma, c’è un ma. Questo si può fare solo con prodotti non tecnologici o non soggetti ad economie di scala nella fase di produzione. Perché i gap presenti con le altre regioni vengano sanati e ci venga data l’opportunità di competere davvero occorre che all’Europa si chieda di azzerare il gap infrastrutturale (creare le autostrade, le reti in fibra ottica, gli elettrodotti), venga ridotto il costo dell’energia e vengano messe in campo strategie formative reali.

Insomma occorre che si competa sul piano della produzione ad armi pari. Gli incentivi alle assunzioni serviranno solo a far credere che una polmonite si può superare con un’aspirina, mentre continueranno a tenere fuori mercato il sistema produttivo locale.

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