L’Italia contro Facebook, la sentenza del consiglio di Stato: “Non è gratis: chi si iscrive paga fornendo i suoi dati personali”

Facebook ha ingannato i propri utenti. Ha presentato come un servizio gratuito quello che è invece uno scambio basato sul commercio dei dati personali degli utenti, a scopo pubblicitario. Lo conferma una sentenza del Consiglio di Stato (del 29 marzo), che boccia il ricorso di Facebook Ireland contro una sanzione erogata dall’Antitrust nel 2018 per lo stesso motivo.

La sentenza del Consiglio di Stato non si limita a confermare l’assunto Antitrust, ma anche “apre la porta a molte questioni rilevanti per il futuro dei nostri diritti nell’economia digitale”, dice Guido Scorza, componente dell’Autorità Garante Privacy. “Ad esempio: un contratto, come in questo caso per l’uso di un social ma gli esempi su internet sono numerosi, vedi Google e altri servizi, può essere basato sul commercio di dati personali? E chi è competente a garantire misure sufficienti a tutela degli utenti, in questo commercio? Il Garante Privacy o l’Antitrust?”, continua Scorza.

Questioni cardine perché sono i pilastri su cui si regge l’economia digitale basata sui dati, dal web ai social network fino alla Sanità e alle fabbriche che ricorrono all’intelligenza artificiale.

Il Tar del Lazio aveva ridotto la sanzione Antitrust (da 10 a 5 milioni di euro), ma confermato il principio che Facebook “induce ingannevolmente gli utenti consumatori a registrarsi” (scriveva l’Antitrust) “non informandoli adeguatamente e immediatamente, in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti, e, più in generale, delle finalità remunerative che sottendono la fornitura del servizio di social network, enfatizzandone la sola gratuità”.

Facebook si è adeguato solo in parte: ha tolto la menzione della gratuità ma non ha esplicitato l’utilizzo commerciale dei dati degli utenti; da qui un’ulteriore sanzione Antitrust, a febbraio scorso, per 7 milioni di euro.

 

 

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