«LE CRITICHE DEI PREVENUTI E LE LUSINGHE DEI RUFFIANI NON AVRANNO IL POTERE DI CAMBIARMI»

Non è passato nemmeno un anno da quando Matteo Renzi lanciò la sfida a Bersani per la leadership nel Partito Democratico: allora c’erano solo pochi parlamentari PD, oggi sono più di duecento, un dato che va visto oltre la sterile enunciazione di un numero, e, piuttosto, in termini qualitativi,

Da aspirante è diventato il favorito della competizione per le primarie del partito per la segreteria, tanto da attrarre alleati da tante correnti del partito; con lui ci sono fedelissimi di Letta, ex dalemiani, gli areadem di Franceschini, oltre ad uno stuolo di bersaniani che sono stati lesti a salire sul carro del vincitore. Renzi si permette addirittura di rifiutare appoggi come quello dell’ex portavoce di Pierluigi Bersani, Alessandra Moretti, e dice : “«le critiche dei prevenuti e le lusinghe dei ruffiani non avranno il potere di cambiarmi»

Per arrivare al vertice del partito, Renzi deve necessariamente cambiare metodi e atteggiamenti, il sogno della rottamazione dei vecchi dinosauri del partito è messo da parte se si accetta il sostegno di uomini come Fassino o Veltroni.

A coordinare la campagna per le primarie ci sono diversi uomini già di Bersani, il discorso di Bari sarà la cartina al tornasole di una eventuale virata a sinistra, che potrebbe sconfessare quanti giuravano sulle radici democristiane di Renzi. Forse, una volta che Berlusconi è stato sconfitto nelle aule di tribunale, tanto vale a dedicarsi alla conquista interna, messo da parte il desiderio, forse il miraggio, di sconfiggerlo sul campo che gli fa arrivare a dire che “L’ipotesi di salvarlo dalla decadenza non esiste”.

Forse questa volta trucchi e machiavellismi tipici degli ex comunisti e dei vecchi democristiani saranno messi temporaneamente da parte per farlo arrivare alla segreteria, in un momento in cui è palese l’incapacità di trovare una sintesi fra le mille anime del partito. Si diceva temporaneamente perché, per raggiungere la poltrona di primo ministro, forse, la strada sarà più impervia, con l’ignoto dietro ogni curva, per un personaggio che non appare tagliato per il ruolo di segretario di un partito in disfacimento, fra mille beghe e rivalità di ogni genere, ruolo che, però ha dovuto accettare per non restare alla fermata di un bus che poteva anche non passare.   

Intanto sono stati diffusi sui social network le prime immagini della campagna, caratterizzate dallo slogan “L’Italia cambia verso” a cui si ispirano gli altri che seguono.

Il cambio di prospettiva, in linea con lo slogan, sarò richiamato, a Bari, dal palco a forma di freccia collocato su una pedana in mezzo al pubblico che lo circonderà a 360°, fra schermi giganti e bandiere del PD.

Le parole chiave della campagna sono cambiare, futuro, coraggio, la strada, gli italiani, vincere, bravi, semplicità. Si tratta di otto parole scritte su sfondi colorati, dietro alle quali occhieggiano parole opposte e scritte al rovescio, a sostegno dello slogan di tutta la campagna del sindaco «l’Italia cambia verso».

Una carrellata dei temi centrali delle politiche che il sindaco intende mettere al centro del suo programma. Ecco, in dettaglio, tutte le parole, il loro contrario e la breve spiegazione che appare sulle immagini.

«Cambiare-lamentarsi»: «non passeremo il tempo a recriminare su come potrebbero andare meglio le cose. Le cambieremo».

«Futuro-conservazione»: «se pensiamo solo a conservare quello che abbiamo, presto non avremo più nemmeno quello. Crescere vuol dire creare, innovare, cambiare».

«Coraggio-paura»: «paura degli extracomunitari, paura della recessione, paura di cambiare. Da oggi ci riprendiamo la fiducia, la voglia di fare, il futuro».

«La strada-il palazzo»: «conoscere il prezzo di un litro di latte, usare i mezzi pubblici, fare la fila alla posta. Tre ottimi modi per costruire un programma di governo».

«Gli italiani-il Cavaliere»: «da vent’anni la politica si occupa di una sola persona. Noi ci occuperemo di tutti gli altri».

«Vincere-perdere bene»: «l’importante, si sa, è partecipare. Ma per cambiare l’Italia bisogna fare qualcosa in più: vincere».

«Bravi-raccomandati»: «la meritocrazia è l’unica medicina per la politica, per l’impresa, per la ricerca, per la pubblica amministrazione. Gli amici degli amici se ne faranno una ragione».

«Semplicità-burocrazia»: «il rispetto delle regole non ha niente a che vedere con la tortura cui sono sottoposti cittadini e aziende per ottenere un banale permesso. Spenderemo quel tempo ritrovato per far crescere l’Italia». 

Generalmente positivi i commenti per la campagna, in termine di immagini e di parole. Siamo d’accordo con quanti hanno espresso riserve per lo slogan VINCERE che evoca periodi da molti non condivisi, come pure il richiamo, per alcuni considerato fuori luogo, alla vittoria-sconfitta di  Bersani che ancora brucia nella mente di tanti post-comunisti. Ci permettiamo di aggiungere l’assurdità del richiamo al Cavaliere, di cui tutti lamentano l’eccessiva attenzione nei suoi confronti per vent’anni ma da cui nessuno riesce a liberarsi.

Ancora ci sembra assai modesto per un aspirante leader il richiamo alla sburocratizzazione, questione che, anche in una piccola città come Ragusa, sbrigano semplici consiglieri comunali, anche se del calibro di Sonia Migliore.

 

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