Negli ospedali della provincia di Ragusa si sta verificando una vera e propria fuga di medici, con dimissioni sempre più frequenti che stanno lasciando interi reparti sguarniti. La sanità pubblica iblea rischia, almeno in alcuni reparti, il collasso, schiacciata dalla carenza di personale e da condizioni di lavoro ormai insostenibili. Un problema che in verità […]
LA PUBBLICITA’ MODERNA SEMPRE PIU’ CREATIVA. MA ANCHE DISCUTIBILE.
19 Ago 2011 14:18
L’enorme seipersei del quale voglio dire, è distribuito praticamente in tutta la città (considerato anche che la pubblicità ha ormai invaso ogni possibile spazio a sua disposizione, anche quando non è propriamente a disposizione). Ed è simpatico. Certamente è funzionale al suo scopo, quello, cioè, che volevano raggiungere gli ideatori, quelli che in gergo si chiamano creativi.
L’avranno visto in molti tra i lettori di RagusaOggi: un fondo verdino con – in caratteri invero non molto grandi – il nome del mobilificio che ha avuto la bella pensata della pubblicità “originale”, e poi quello che potremmo definire lo slogan, il messaggio che colpisce: “nchia cavuru”.
Per i lettori non usi al vernacolo isolano, traduciamo letteralmente: “minchia caldo”. Ma, si badi, deve essere fatto un certo sforzo, non possibile ai figli del continente (ma anche agli indigeni che colpevolmente non utilizzano più la sacra lingua sicula), per leggere e quindi costruire neurologicamente tutto un processo verbale, gergale e infine mentale. “Nchia cavuru” (dove nchia è solo e soltanto l’abbreviazione del “mischia” utilizzatissimo in dialetto e da qualche anno anche nella lingua nazionale, ovvero l’italiano televisivo, basti pensare alla bravissima Luciana Littizzetto che, pur essendo torinese, utilizza il gergale minchia con attinenza e precisione) è da leggere con una fortissima accentazione delle “c”, sia di nchia sia di cavuru, che si dovrebbero poter scrivere “nnnchia cccavuru”. Bisognerebbe leggerlo forzando le consonanti anche per fare capire che quell’affermazione traduce verbalmente un forte fastidio fisico, determinato dal caldo estivo che a queste latitudini è tremendo (anche questa estate 2011 non sarà certo registrata tra le più calde a memoria d’uomo). Insomma, bisognerebbe quasi sbuffare nel dirlo quel “cavuru”.
Detto tutto quanto sopra, appare evidente che lo slogan sarà anche azzeccato perché in questi giorni è oggetto di conversazione (quindi è stato raggiungo lo scopo per il quale la campagna pubblicitaria è stata lanciata), ma al contempo appare altrettanto evidente che la pubblicità dovrà prima o poi anche darsi dei limiti. Questo è forse il meno impattante tra gli slogan volgarotti che in questi ultimi tempi hanno fatto bella mostra di se soprattutto sui seipersei. Mai dimenticheremo quell’azienda che lo scorso febbraio, per vendere non ricordo più cosa, tranquillamente colorava un enorme seipersei con lo slogan “San Valentino ha rotto le palle”.
Stavo per chiudere quando – sfogliando un settimanale serio come l’Espresso – incappo in una pubblicità che non c’entra coi seipersei, ma rientra perfettamente nel discorso della pubblicità volgare. È la pagina (non so adesso se esiste anche una versione spot per radio e televisioni, e spero proprio di no) nella quale è possibile vedere il famosissimo discjockey Bob Sinclair (si tratta di un artista di fama internazionale che per esibirsi in una notte in discoteca chiede – e soprattutto ottiene – settantamila euro) vestito in maniera causal con jeans e camicia (che è già di suo una novità perché di norma, negli altri suoi spot pubblicitari soprattutto di abbigliamento intimo, è nudo e mostra un fisico praticamente perfetto sempre che non ci sia di mezzo il photoshop) con letteralmente buttata addosso una superficona, una modella totalmente nuda e dalle curve perfette (anche in questo caso vale il discorso di photoshop) che però non si limita a buttarsi addosso al ricco musicista, ma allunga serenamente una mano afferrando l’apparato urogenitale di Bob Sinclair. E si spiega perché, a ben guardare, la faccia del discjockey è di quelle indimenticabili: occhi sbarrati, bocca spalancata e espressione generale come a dire “mischia”, e torniamo da dove siamo partiti.
© Riproduzione riservata