La fine di Gene Hackman: noi qui siamo più attenti agli anziani

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Mi ha sconvolto. Come ho avuto già modo di scrivere altrove. Gene Hackman era un uomo di 95 anni con l’Alzheimer e problemi al cuore. Ha vissuto in esilio in casa per almeno una settimana con il cadavere dell’amata moglie. Senza capirlo. Senza rendersi conto. E attorno per settimane il silenzio holliwoodiano di tutto. 

Puoi essere un mito, ricchissimo, famoso, potente. E, ad un tempo, tragicamente solo come in una pagina di Shakespeare. 

Ora. I paesi della Sicilia sono tristi. Provinciali. Arretrati. Senza futuro. Questi spigoli del mondo che abitiamo non di rado sono deprimenti. Diciamolo. Tuttavia, mi piace illudermi che una luce intermittente di dignità sopravviva tra noi e tra i nostri bambini: in qualche modo, noi siculini vogliamo prenderci cura dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri vicini. Una telefonata, una visita alla casa di riposo, una badante, una clinica. E non di rado, ancora meglio, la scelta di coccolarli a casa nostra. Fino alla fine.

Voglio illudermi che tra noi questa storia di Hackman non sarebbe potuta accadere, perlomeno non in questo modo. E per una ragione: in un inconfessabile modo, ogni bambino cresciuto nelle strade di questi nostri paesini di merda, ha imparato a essere “mamma” di qualcuno e di qualcosa. 

E questo è ciò che distingue l’inferno della Siberia dai vicoli scalcinati della Sicilia. 

Anche nel più femminile dei giorni di marzo.

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