La persona oltre la malattia: disagio psicologico e oncologia

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Ieri ho scelto e affrontato brevemente questo tema. Un tema che mi sta a cuore da sempre. Da quando ho iniziato il mio lavoro di psicologo e psicoterapeuta, proprio a fianco di una straordinaria e indimenticabile paziente (oncologica terminale) di dodici anni, in un’esperienza professionale e soprattutto umana che mi ha insegnato moltissimo. 

Ieri ho sviluppato il mio intervento in seno a un interessante corso di formazione e aggiornamento dal titolo “Comunicazione e rappresentazione del disagio- focus sull’oncologia”, organizzato dalla Crisalide Ets e dall’Asp di Ragusa e tenutosi presso la Sala conferenze Ordine dei Medici, a Ragusa. In un approccio felicemente interdisciplinare, che ha visto (e vedrà) relazionare illustri medici, assistenti sociali, una collega psicoterapeuta, giornalisti, sociologi avvocati e critici dell’arte e del cinema.

Lo diceva già Ippocrate più di 2400 anni addietro: “Non si cura una malattia, si cura una persona.”

La malattia oncologica non coinvolge solo il corpo, ma l’intera persona: pensieri, emozioni, relazioni, vissuto esistenziale. Oggi più che mai, nel contesto delle cure integrate, è necessario leggere il disagio psicologico non come sintomo accessorio, ma come parte integrante del percorso oncologico.

Ho cercato di evidenziare l’importanza di un approccio centrato sulla persona. E ho accennato alle dinamiche psichiche associate alla diagnosi e alla cura, ai principali modelli teorici di riferimento e alle pratiche cliniche per affrontare il disagio, con uno sguardo anche al contesto familiare e all’equipe curante.

L’oncologia ha fatto enormi progressi in termini diagnostici e terapeutici, ma solo negli ultimi decenni si è sviluppata una maggiore sensibilità verso l’impatto psicologico della malattia.

Già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, diversi autori hanno sottolineato come la diagnosi tumorale rappresentasse una frattura biografica, una transizione psicosociale, un evento traumatico che interrompe la continuità dell’esistenza. Ci si muoveva finalmente verso una visione integrata di psicologia e malattia oncologica. 

La malattia oncologica produce una serie di vissuti critici: ansia e panico alla diagnosi, depressione reattiva, disturbi del sonno, dell’appetito e della concentrazione, alterazione dell’immagine corporea, paura della morte, del dolore, della perdita di controllo.

La medicina tradizionale è stata per lungo tempo dominata da una visione meccanicista, incentrata sulla malattia, dove il paziente era considerato un oggetto di diagnosi e trattamento.

Con l’emergere dell’approccio biopsicosociale (1977) si è cominciato a superare questa visione riduzionista. La persona non è solo un corpo malato, ma un soggetto dotato di emozioni, storie, relazioni, senso. Nasceva l’approccio centrato sulla persona che trascende il paradigma medico tradizionale. Il modello biopsicosociale promuove una lettura complessa del disagio psicologico in oncologia, considerando: la biografia del paziente, le sue risorse interne (resilienza, coping), il contesto familiare e sociale. Secondo questo approccio, la malattia non è mai solo un fatto biologico, ma un evento relazionale ed esistenziale.

Ricevere una diagnosi di tumore rappresenta una vera e propria rottura esistenziale. Le reazioni immediate sono spesso di incredulità, disorientamento, paura. Chemioterapia, radioterapia, interventi chirurgici: la persona deve affrontare il dolore fisico, la fatica, ma anche la trasformazione dell’immagine corporea e della percezione di sé. Il corpo non è più “alleato”, ma diventa un terreno di battaglia. 

La psico-oncologia nasce come disciplina autonoma, con l’obiettivo di integrare interventi psicologici nei percorsi di cura oncologici. Le sue aree di intervento principali sono: supporto psicologico al paziente e alla famiglia, valutazione e trattamento di disturbi psichici, formazione del personale sanitario.

Il coping è l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali utilizzate per fronteggiare eventi stressanti. 

Nei momenti più critici, la persona ha bisogno di attribuire un senso alla sofferenza. In oncologia, aiutare il paziente a ritrovare senso può essere terapeutico quanto il trattamento medico.

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