LA FEBBRE DEL SABATO SERA

Erano gli anni in cui montava, implacabile, quello che poi sarebbe stato chiamato il riflusso, ovvero il ritiro nell’edonismo, la sospensione di ogni tensione civile e politica, il trionfo dell’individualismo e dello juppismo: tutti in giacca e cravatta, persino molti jazzisti (notoriamente eccentrici) in doppio petto ai concerti, a celebrare la festa del conformismo più bieco.

Ma questo sarebbe stato un poco più avanti, nei miserabili anni ’80, quando si sarebbe compiuta la colonizzazione politica e ideologica del neo-liberismo reaganiano e thacheriano.

Gli anni della febbre erano un tantino prima, dopo il giro di boa dei ’70, quando gli echi di Woodstock erano già lontani, il rock aveva abbondantemente perso la sua carica eversiva di natura sociale e ne stava acquistando un’altra di natura individuale (il punk). L’industria musicale aveva bisogno di un volano formidabile che portasse acqua al mulino della strategia globale di espropriazione valoriale. E così viene inventata la disco music, ibrido formidabile di sostanza dubbia, implacabile scansione binaria delle relazioni umane ( persino sessuali), molti tempi in levare a garantire una eccitazione elementare e a favorire la trasformazione del rapporto con la musica, divenuta seriale nello stesso senso in cui lo è un prodotto da banco, che si acquista con la stessa concentrazione e partecipazione con cui si tossisce.

Il film per antonomasia di questa età del machismo imberbe è Saturday Night Fever, di John Badham, con uno sfolgorante John Travolta, molto prima che si specializzasse in una eterna rappresentazione del villain.

Alcune sequenze sono da antologia, e questo perché il film non è un prodotto di quegli anni ma una riflessione (preconizzante) su quegli anni, condotta con piglio sociologico, con sapienza drammaturgica, con una sensibilità estetica fuori dal comune. Diciamocelo: le tirate in discoteca, le coreografie, i colori ci annunciavano come sarebbe diventato il mondo da lì a poco.

Fra tanta musica da mangiare che riempiva lo spazio e il tempo c’era certamente anche qualcosa di buono, se persino le melodie che i Bee Gees composero per la track del film sono rimaste nella memoriia e nella pelle di molti di noi. Ma la nostra scelta cade su quelli che probabilmente hanno dato il meglio di quegli anni: gli Earth Wind & Fire, vera macchina della funkiness, di cui si fa ricordare soprattutto l’album  Gratitude, live al fulmicotone.

In quegli stessi anni in cui l’America pre-reaganiana si preparava all’offensiva planetaria che avrebbe riposizionato i rapporti di potere nei paesi capitalisti, un timido professore veneto gettava le basi per un pensiero radicale dell’operaismo e si proponeva come il teorico dell’attacco frontale allo stato borghese. Stiamo parlando di Toni Negri, che nel 78 – l’anno del rapimento di Moro – dava alle stampe  Il dominio e il sabotaggio : sul metodo marxista della trasformazione sociale. All’epoca si trattò di teorizzazioni demonizzate come il fondamento del terrorismo italiano. Oggi suonano sinistramente preveggenti.

Era decisamente ancora un mondo aperto ad ogni possibilità.

 

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