LA COMPRENSIONE DI NOI STESSI

Il , cioè la nostra identità, è formato dalla combinazione dei nostri pensieri e delle nostre credenze ed è, inoltre, anche un elaboratore di informazioni. Il Sé si sviluppa intorno a i due anni; inizia nel segno della concretezza, quando si comincia a saper dire il proprio nome ed età, e a riconoscere il proprio sesso, quando si riesce quindi ad identificarsi. Crescendo si pone più importanza agli stati psicologi, ai pensieri e sentimenti, oltre che alla considerazione di come ci giudicano gli altri. Ma come facciamo a sapere realmente chi siamo e ad avere informazione sulla nostra identità? La comprensione e conoscenza di noi stessi può avvenire in più modi: attraverso l’Introspezione, l’Osservazione dei nostri comportamenti, gli Schemi di Sé, e attraverso l’Interazione sociale. L’Introspezione consiste nel guardarsi dentro ed esaminarsi, è l’osservazione dei propri processi e fenomeni interiori che dovrebbe dunque dare informazioni su “come si è”; non è purtroppo un’attività cognitiva frequente e comunque non è l’unica a cui dovere e potere fare ricorso per conoscersi. Un’altra fonte di conoscenza di Sé è l’Osservazione dei nostri comportamenti: scopriamo come ci sentiamo anche osservando cosa facciamo. La teoria dell’autopercezione afferma infatti che possiamo capire i nostri sentimenti dal nostro comportamento, cioè da come ci comportiamo, soprattutto se i sentimenti sono poco chiari e deboli. Ancora possiamo conoscere noi stessi attraverso degli Schemi, cioè strutture di conoscenze relative a persone, situazioni o oggetti e anche su noi stessi, che si fondano sulle esperienze passate e ci aiutano a comprendere, spiegare e prevedere il nostro comportamento. Gli Schemi di Sé sono molto importanti anche perché aiutano a riorganizzare la nostra memoria autobiografica, ovvero i nostri ricordi e sensazioni passate. Le persone apprendono quindi a conoscersi tramite l’Introspezione, l’Osservazione del loro comportamento e l’organizzazione di queste informazioni in Schemi di sé. Ma molto di ciò che apprendiamo su di noi può essere influenzato dalle altre persone. Fin da piccoli siamo abituati a essere giudicati dalla nostra famiglia, dagli amici e a volte anche dagli sconosciuti. L’immagine che questo specchio ci offre può a volte essere rassicurante e rafforzare le credenze su noi stessi e altre volte essere invece screditante, e quindi fastidioso. Questo serve a farci capire che ogni essere vivente può avere una visione del mondo diversa dalla nostra, ma non per questo sbagliata. Il confronto sociale, cioè il confronto con gli altri, è sempre ricercato, e serve per misurare i propri punti di forza e debolezza. La conoscenza di Sé è importante anche per la presentazione di Sé agli altri: noi possiamo presentarci agli altri per quello che siamo o per quello che vogliamo gli altri credano, perché desideriamo che di noi, chi ci ascolta, si formi una determinata impressione. Quindi nel momento della conoscenza, della presentazione, noi possiamo “gestire” le impressioni di chi ci sta conoscendo e questa “gestione delle impressioni”, a cui tutti in qualche misura ricorriamo, ha essenzialmente due forme: l’ingraziamento, che consiste nel lusingare e lodare e che spesso funziona, perché a tutti piace ricevere complimenti ma che può produrre risultati opposti se il destinatario capisce cosa stiamo facendo; l’uso di strategie autolesive, che consistono nel salvaguardare la propria autostima in caso di risultati deludenti o fallimentari. Questa tecnica si può attivare in due modi; in quella più estrema le persone riducono le proprie possibilità di successo, così da poter avere delle giustificazioni ed evitare di dover dare la colpa a sé stessi. Ad es. avendo paura di non riuscire a portare avanti un compito, un esame, una gara, l’individuo per evitare di avere unicamente le colpe dell’insuccesso, decide di fare uso di droghe, di non studiare adeguatamente, di non allenarsi. In questo modo l’insuccesso non sarà dipeso da lui (in realtà si) ma dagli “impedimenti” (droga, poco studio o allenamento) o sabotando il proprio lavoro. La paura di non essere in grado di cucinare una buona minestra per i nostri invitati, ci può portare ad esagerare con il sale, così da poter dire che il cattivo sapore non è dato da come è stata preparata ma solo dall’eccessiva dose di sale. L’altra tecnica consiste nel creare delle scuse preconfezionate in caso di fallimento; tra queste scuse ricordiamo: “è per colpa della timidezza,…dell’ansia,…del cattivo umore,…del mal di testa,…che non sono riuscito a…”. In realtà queste strategie producono l’effetto contrario: invece di salvaguardare la propria autostima spesso contribuiscono realmente all’insuccesso tanto temuto.

 

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