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Ecco perché il progetto del Ponte sullo Stretto è stato bocciato dalla Corte dei Conti. Le motivazioni
16 Dic 2025 21:26
Non è stata una bocciatura politica, ma giuridica e sostanziale. Ed è proprio questo a rendere la decisione della Corte dei Conti sul Ponte sullo Stretto ancora più dirompente. Con una sentenza depositata il 16 dicembre, la sezione centrale di controllo di legittimità ha fermato il decreto ministeriale sui finanziamenti dell’opera, mettendo nero su bianco una verità scomoda: il progetto è cambiato natura, e non poteva farlo senza conseguenze.
Da opera “mista” a opera totalmente pubblica
Il cuore della bocciatura sta tutto qui. Il progetto del Ponte sullo Stretto nasceva con una struttura finanziaria precisa: 60% di risorse private, 40% pubbliche. Un equilibrio che giustificava il tipo di contratto, il rischio d’impresa, il rapporto tra concessionaria e Stato.
Oggi, però, secondo la Corte dei Conti, quel modello non esiste più. L’opera risulta interamente finanziata con fondi pubblici. E questo, per i giudici contabili, non è un dettaglio tecnico ma un cambio radicale:
“Una simile differenza di finanziamento è tale da modificare sostanzialmente la natura del contratto”.
In altre parole: non è più lo stesso progetto, né sul piano economico né su quello giuridico.
Il nodo dei finanziamenti privati: un’ipotesi “senza legittimazione”
Il decreto bocciato prevedeva che la concessionaria potesse reperire ulteriori risorse sui mercati finanziari, anche internazionali. Ma per la Corte dei Conti questa possibilità è puramente teorica, quasi fittizia:
“La raccolta sul mercato di ulteriori risorse appare oggi una mera ipotesi priva non solo di necessità ma anche di qualsiasi legittimazione”.
Tradotto: non servono quei soldi perché l’opera è già finanziata, e dunque non c’è alcuna ragione economica o giuridica per coinvolgere capitali privati. Un cortocircuito che svuota di senso l’impianto originario del progetto.
Un contratto stravolto (e più conveniente per chi lo realizza)
La Corte dei Conti va oltre e tocca un punto che inevitabilmente divide l’opinione pubblica: l’equilibrio economico del contratto. Il passaggio a un finanziamento totalmente pubblico:
- libera la concessionaria dal rischio di reperire capitali;
- sposta l’equilibrio a favore dell’aggiudicatario;
- crea condizioni che, se note all’epoca della gara, avrebbero potuto attirare altri concorrenti.
Un’affermazione pesantissima, perché mette in discussione non solo il “come”, ma anche il “chi” avrebbe potuto realizzare l’opera.
Non a caso i giudici ricordano che nel 2012 il progetto si fermò proprio per l’impossibilità di reperire capitali privati. Oggi quella difficoltà non solo non è risolta, ma è stata semplicemente aggirata con fondi pubblici.
I soldi che slittano e il Ponte che arretra
A rendere il quadro ancora più incerto è arrivato l’emendamento del governo nazionale alla finanziaria: 3,5 miliardi di euro aggiuntivi, ma con 780 milioni del Ponte spostati al 2033. Formalmente il valore complessivo resta invariato, ma politicamente il messaggio è chiaro: nel 2025 il Ponte non è più una priorità di spesa immediata.
Per il Partito Democratico è la certificazione di un fallimento. La segretaria Elly Schlein parla apertamente di risorse da dirottare su Sicilia e Calabria “per non perderle”, accusando il governo di aver creato un “brutto pasticcio” anche su altri fronti, come Transizione 5.0.
De Luca: «Il Ponte è finito in un binario morto»
Ancora più duro Cateno De Luca, che definisce il definanziamento una scelta politica, non contabile. Secondo il leader di Sud Chiama Nord, il Ponte oggi è sottofinanziato di almeno 3,5 miliardi, cifra destinata a crescere di altri 2-3 miliardi quando (e se) arriverà un progetto esecutivo che, al momento, non esiste.
Il punto più controverso riguarda i 1,3 miliardi del Fondo Sviluppo e Coesione della Sicilia, bloccati su un’opera che, secondo De Luca, non ha più copertura certa né un cronoprogramma credibile:
“È una follia tenere ferme risorse della Sicilia per un’opera senza futuro”.
La replica della Regione: «Il Ponte non è un capriccio»
Dalla Regione Siciliana arriva una risposta netta. L’assessore alle Infrastrutture Alessandro Aricò ricorda che il cofinanziamento regionale è previsto dalla legge di Bilancio dello Stato 2024 e dall’Accordo di Coesione. E rilancia una visione strategica:
“Il Ponte è un tassello di un disegno più ampio: alta velocità Palermo-Catania-Messina, Catania-Ragusa, Palermo-Catania”.
Secondo la Regione, dunque, mettere in discussione il Ponte significa mettere in discussione l’intero sistema infrastrutturale siciliano.
Un’opera simbolo, una frattura reale
La bocciatura della Corte dei Conti non chiude definitivamente la partita, ma apre una frattura profonda: tra visione politica e realtà giuridico-contabile. Da un lato chi vede nel Ponte un simbolo di sviluppo e riscatto, dall’altro chi lo considera ormai un progetto snaturato, finanziariamente fragile e giuridicamente esposto.
La domanda che divide l’opinione pubblica resta tutta lì: ha senso continuare a inseguire un’opera che, per i giudici contabili, non è più quella per cui era stata pensata?
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