DIRITTO IN SÉ O DOVERE MORALE?

Quali sono i diritti e i doveri degli immigrati se gli italiani stanno perdendo la loro condizione e dignità di lavoratori? 

L’immigrazione non è un diritto in sé. Ad ogni diritto corrisponde un dovere e l’adempimento di questo dovere deve essere possibile.

 Sono crescita nella consapevolezza che, tuttavia, esiste un dovere morale e con l’esperienza di mediatrice in un centro di accoglienza ho acquisito l’interesse e la necessità di avvertire quel senso di solidarietà umana, ad aiutare ed accogliere le persone in condizione di bisogno. Questo dovere deve essere esercitato, appunto, nei limiti in cui sia realisticamente possibile, nei limiti in cui l’accoglienza offerta sia dignitosa, nei limiti in cui consenta il rispetto del bene comune della società ospitante.

Mi chiedo dunque,  se siamo in grado, con i tagli che il governo tecnico ha disposto nel sociale, con la crisi occupazionale dei giovani specie nella Regione Sicilia a soccorrere queste persone e a garantire loro un lavoro?

Gli operatori, i mediatori, gli assistenti sociali che lavorano presso un centro di accoglienza, figure professionali con tanto di titolo richiesto dallo Stato, possono ancora garantire le loro prestazioni dal momento che, non percepiscono le spettanze da un oltre un anno?

 Siamo consapevoli che possiamo accogliere gli immigrati che abbiano effettivamente il desiderio di contribuire al bene comune della società che li ospita. Per chi delinque, non si può considerare un dovere di solidarietà garantire l’ “ospitalità” nelle nostre case circondariali. È insostenibile accettare ancora quello che si è verificato negli ultimi decenni: assistere a fenomeni delinquenziali nuocendo alla città  e alla società che ospitano queste persone.

Gli immigrati e la maggior parte di stranieri sono persone che entrano in nuovo Paese per costruirsi una nuova vita, stabilirvisi a lungo, in molti casi per sempre.

È necessario che questo inserimento avvenga senza conflitti con la società che li ospita, contribuendo a una graduale reciprocità di diritti e doveri.

Un immigrato, dunque, deve rispettare innanzi tutto le leggi del Paese che lo ospita. Non possono esserci zone franche, quartieri di immigrati, dove queste leggi (con particolare riguardo ai diritti fondamentali delle persone e quindi dei diritti delle donne e dei bambini) non sono e non vengono rispettate. 
Rispettando tali leggi, l’immigrato potrà esigere il rispetto dei diritti umani e di libertà (personale, di inviolabilità del domicilio, di espressione, di religione, di tutela giudiziaria, di istruzione per i minori) che la Costituzione riconosce a chiunque soggiorni nel nostro territorio; nonché il rispetto dei diritti connessi alla propria prestazione lavorativa e dei diritti di prestazione economica connessi alle tasse versate, il diritto all’istruzione italiana e ai corsi di alfabetizzazione culturale. Non solo anche la pienezza del diritto a circolare e soggiornare in ogni parte del territorio e del diritto di riunirsi in associazioni; la possibilità di ottenere politiche di sostegno  e sovvenzioni sociali allargati; la possibilità di esprimersi attraverso il voto e di determinare le regole della comunità.

Questi dovrebbero essere i criteri per delineare una basilare gestione dell’immigrazione ma viviamo in una società troppo rigida dove primeggiano i luoghi comuni, i pregiudizi, le esigenze economiche, le ideologie politiche per coloro che pensano che l’immigrazione debba essere assolutamente libera o perché pensano che vada semplicemente impedita.

Forse perché siamo circondati dal cinismo, quel cinismo che, non guarda agli immigrati come persone ma come masse e solo masse; un cinismo privo di scrupoli pronto a soffiare sul fuoco dello scontro tra le fasce sociali più deboli.

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