Cattolici Italiani e seconda ricostruzione di Luciano Nicastro

Forse il viatico più adatto per la preparazione allo svolgimento della 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si svolgerà a Reggio Calabria da 14 al 17 ottobre 2010 può essere trovato nella famosa lettura del Mondo Moderno dell’indimenticabile Papa Paolo VI che guidò i cattolici in una difficile quanto tormentata transizione culturale e politica, ecclesiale e pastorale. Papa Montini nel suo lucido e profetico discernimento di allora era solito dire che il mondo moderno aveva più bisogno di testimoni che di Maestri (cfr. Leonardo Sapienza, Paolo VI – Maestro della Parola, Gabriele Corbo Editore, Ferrara 2003, p. 257).

Anche oggi l’unica utile predica è quella del difficile buon esempio e della necessaria onestà cristiana quotidiana. La frequente infedeltà e la cattiva coscienza richiedono uno sforzo di autocritica per l’inadeguatezza della testimonianza dei politici cattolici. Non di predicatori quindi ma di laici maturi nella ricerca e nell’agire coerente hanno bisogno la Chiesa in Italia e i Vescovi che non essendo “politici” vogliono essere sempre di più pastori e seminatori della Parola, pazienti e lungimiranti. Fa velo a questa funzione nobile la diffusa mentalità secondo cui la caduta della egemonia culturale e politica del cattolicesimo italiano e della sua Chiesa vada letta più in termini politici e istituzionali che etici e culturali, spirituali e pastorali.

Non è stata la fine dell’unità politica a determinare il crollo di un mondo cattolico ma soprattutto una crisi spirituale della politica con l’identificazione di fatto degli interessi della Chiesa con il potere centrale del partito dei cattolici e delle sue organizzazioni collaterali. L’implosione del connubio cattolico tra Chiesa istituzionale e Potere politico ha quindi ragioni non solo esterne. Bisogna convincersi che non di predica ma di autocritica abbiamo bisogno in questo delicato momento di grande analoga crisi e di ripensamento  degli spazi ridotti di libertà spirituale e di movimento pastorale e sociale della Chiesa in Italia rispetto ai nodi politici sensibili come la coesione spirituale di indigeni e immigrati nella vita nazionale e in quella dei territori.

Si sta spegnendo la spinta aggregativa e propagandistica del berlusconismo dello statu nascenti, che aveva fatto nascere nuova fiducia e speranza nel Paese e a cui aveva guardato con abile simpatia e accorta regia il “ruinismo” spiritual-politico, fenomeno parallelo e funzionale che ha giocato di fatto a carte scoperte nel Centro-Destra culturale e politico. La Chiesa in Italia in questi anni, almeno dagli anni ’80 in poi ha inseguito la “riconquista” di un maggiore peso specifico culturale e politico o per lo meno ha rivendicato un più efficace potere di veto e ricercato una via breve di presenza con il progetto culturale sulla politica eticamente sensibile degli assetti istituzionali condizionando come un freno la qualità politica complessiva e anche l’agenda politica del Governo nazionale.

Per queste ragioni è diventato oggettivamente difficile proporre un’Agenda di Speranza credibile per il futuro del Paese in un momento di gravissima crisi morale e politica come l’attuale senza aver fatto come cattolici un’analisi critica e soprattutto autocritica sul piano culturale, morale e politico di questa fase di complicità. Nell’ultimo trentennio dei rapporti tra Chiesa e Politica in Italia sono stati prevalentemente i vescovi a parlare e proporre e non i laici né le loro organizzazioni.

Le Conferenze Episcopali si sono riservate sempre di più con le loro periodiche riunioni la prima parola sul merito e spesso anche sul metodo e non hanno favorito un prioritario e illuminante discernimento “maturo” di tipo specificatamente pastorale e comunitario.

E’ stato superato e negato di fatto il testo della Gaudium et Spes che esaltava l’autonomia e la responsabilità dei laici cristiani nelle realtà temporali come il par. 43B di G. et Spes: «Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente che associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di alcuna disciplina ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di iscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero». Il “servizio laicale cristiano” così precisato, motivato e responsabilizzante, richiede ancora una vera maturità di discernimento e di giudizio e una creatività di testimonianza cristiana coerente sia nella cultura che nella politica, nella società e nelle istituzioni. Dall’azione fedele e feconda dei laici cristiani maturano infatti ponti di dialogo e leve di sviluppo concreto del bene comune generale e universale. Formare i laici a questa difficile e alta missione, richiesta non solo dalla propria vocazione specifica ma anche dalla novità e complessità dei nuovi tempi, dipende effettivamente dai vescovi sui quali sembra spirare un vento di parresia e di equilibrio nel parlare, orientare e confermare per indicare un più libero orizzonte morale della politica e una nuova frontiera di efficacia di valore della dottrina sociale della Chiesa nella vita del Paese. Nella santità dei laici cristiani si dovranno ricostruire, come nel secondo dopoguerra, i pilastri del pensare e dell’agire coerente cristiano nella vita democratica. In questo senso la Speranza non è solo una virtù di fede quanto una forza di incarnazione in sé e nelle relazioni interpersonali di una vocazione personale e comunitaria che discende dalla spiritualità di servizio e dalla comunione eucaristica del proprio battesimo. Per questa ragione radicale e profonda riconosciuta dal Concilio Vaticano II il laico cattolico deve essere educato a diventare da individuo “fedele” e ubbidiente una persona matura, libera e responsabile, coerente, competente e creativa, un cittadino consapevole e un politico di comunione e di cambiamento sia nella società civile che nella politica istituzionale. Un uomo “politico” in senso nobile ed alto come i santi del dopoguerra.

Il documento preparatorio, ben costruito e strutturato, è un valido vademecum per guardare da vicino l’orizzonte prossimo e problematico di un impegno straordinario dei cattolici per concorrere a risanare il tessuto profondo del Paese diviso e lacerato nello spirito e nelle condizioni di uguaglianza, di giustizia sociale e di solidarietà nazionale affrontando dopo una fase di contestazione e di logoramento la questione nazionale «senza pregiudizi, né preconcetti» non  per negarla ma per migliorarne il compimento a 150 anni di storia unitaria (p.23).

E’ illuminante a riguardo la fresca analisi, tutt’altro che pacifica e scontata del par. 29, dove si esamina la cura del bene comune in modo articolato e dettagliato. Per quanto mi riguarda ho indicato “esercizi di costruzione del bene comune” nel mio recente studio di filosofia e sociologia politica “Terza Via come prassi”, Rubbettino 2009 dove ho prospettato per il contesto nazionale e globale una prospettiva di realismo dell’utopia nella direzione di un inedito “Socialismo Bianco” sulla scia di E. Mounier. Mi sembra tuttavia di ravvisare un limite nel par. 30 riguardante la tematica del “completare la transizione pastorale istituzionale” (pp. 74-75) non solo di approccio e di sviluppo ma soprattutto di orientamento spirituale e un limite di cultura politica. Alla fin fine sembra emergere una indicazione “preferenziale” per un nuovo liberalismo “cattolico” come scelta preferenziale culturale e politica di progresso e di sviluppo che suona discontinuo rispetto al Magistero e alla stessa dottrina sociale nonché con la storia dell’impegno politico comune dei cattolici in Italia degli anni della ricostruzione in poi.

Questo appiattimento culturale e questa semplificazione porta a distorcere il pensiero e l’azione di De Gasperi e di Don Luigi Sturzo che in certi passaggi sono ridotti a liberisti “solidali” dimenticando il profilo “aperto” e fecondo della loro profetica, incisiva e complessa testimonianza. La nuova via che emerge dal documento ha lo scopo evidente di essere l’oggetto del desiderio degli ultimi 30 anni ma così come è formulata è di corto raggio e di breve respiro non solo per una Agenda di Speranza ma soprattutto per la sua incarnazione e socializzazione in termini di solidarietà nel Paese. Ciò che viene indicato è quindi un implicito e inevitabile neo-cattolicesimo politico di tipo liberale per il futuro dell’Italia a garanzia degli spazi consolidati di libertà religiosa della Chiesa cattolica.

Se dovesse prevalere questo paesaggio, la 46ª settimana sociale dei Cattolici Italiani, che si svolgerà a Reggio Calabria, passerebbe alla storia come il momento e il luogo del battesimo di una cultura politica di riferimento principale e privilegiato dei cattolici italiani a fondamento di una auspicata nuova unità politica di tipo moderato. Da tempo si insegue una nuova esperienza politica unitaria “cattolico liberale” in una forma simile a una DC, come terzo polo utile per sparigliare il bipolarismo sordo e muscolare che ha impedito un ruolo attivo, autonomo e propositivo dei laici cattolici in politica. Il ritorno al collateralismo del passato e una unità politica anche se in vernice diversa, è sempre una ritornante vecchia tentazione.

Il pluralismo delle opzioni viene di fatto accantonato da un progetto organico di resurrezione di un vecchio mondo ordinato e per una  rinascita di quella cristianità bella e fatta, disciplinata e funzionale. La Speranza non è però nemmeno legata alla ripresa dell’altro ideale politico, quello del solidarismo comunitario come luogo dialettico di incontro, di dialogo e di promozione di nuove relazioni fraterne e più giuste mediante il concorso e la convergenza possibile del pluralismo culturale democratico della società civile del Paese.

A tal fine ci vuole come lievito e sale una rivoluzione spirituale diffusa nella politica “praticata” e nelle stesse appartenenze laiche con la testimonianza esemplare dei cattolici.

La spiritualità della politica, come luogo permanente e maieutico di rigenerazione etica della coesione nazionale e della identità della nuova Italia nel mondo globale, è la via maestra della nuova cittadinanza cattolica odierna. Non siamo chiamati ad essere,infatti, i nuovi “Mercanti di Venezia” di schiavi e di merci della storia d’Italia in questo secolo di navigazione globale ma i piccoli fratelli francescani della interdipendenza planetaria (Benjamin R. Barber), coraggiosa e profetica, cooperativa e di mutuo aiuto al reciproco sviluppo dei popoli. La responsabilità ecologica di sistema si nutre, come è stato autorevolmente auspicato, della cultura politica della “buona economia”(Papa Benedetto XVI°) e dall’etica della responsabilità intergenerazionale. Per questa ragione il canto di “fratello Sole e sorella Luna” accompagna il nuovo corso del cuore umano della nostra Madre Terra verso un orizzonte dinamico e concreto di costruzione, nella libertà positiva e attiva di una solidarietà militante e  di una democrazia globale, fraterna e federale.

La qualità della democrazia non si misura quindi solo con il metro della legalità procedurale e formale dei confini sicuri, ma si verifica dai suoi obiettivi di inclusione sociale e di spiritualità relazionale e solidaristica, dalla spiritualità dell’etica del dono e della corresponsabilità dei suoi cittadini e dalla saggezza e maturità oblativa dei suoi governanti. In questo senso di fronte alle sfide del Villaggio Globale la speranza umana di un futuro migliore “comune” non può ancora essere riposta né nei “barbari” né nei “neo-pagani” ma nella rinascita “laica” della fraternità di nuovo umanesimo culturale, spirituale e cristiano, come approdo sintetico di scopo.

Tutto si gioca ancora a livello spirituale nella rinascita della “buona politica” e nel realismo dell’utopia, oltre il fariseismo pubblico e i vizietti privati dei governanti della crisi e della caduta. Come il denaro la politica è diventata la sostanza, come diceva K.Marx, del mondo contemporaneo, la malattia che corrompe tutto e tutto strumentalizza per gli interessi privati di potenti lobbies o cricche. Può corrompere anche lo spirito pubblico della coesione nazionale e insieme allo zoccolo sacro delle religioni anche la normativa “costituzionale” dei Padri Fondatori, laici e cattolici.

In questa 46° Settimana Sociale i Cattolici italiani desiderano scrivere sotto la loro fede e testimonianza una parola di impegno spirituale insieme con tutti come fonte e culmine di una comune Agenda di Speranza per il futuro del Paese. Per loro “il Sole dell’avvenire” è la gloriosa “Festa del Padre  Misericordioso” nel Banchetto dei Popoli del Mondo Globale dove il Cielo ritrova la comunione con la sua Terra e l’uomo la sua amicizia di figlio nel Grande Cuore dello Spirito del Dio Trinitario. L’avvento di una simile profetica avventura è affidata alla crescita pedagogica di una nuova moralità pubblica di tipo staminale,personale e comunitario nella Società Civile dei territori e nelle fenditure delle istituzioni.

Valga a riguardo la illuminante analisi fenomenologica dei mali della odierna politica nell’acuta diagnosi di Gustavo Zagrebelskwy (cfr.Repubblica,13 sett.2010, p.1 e pp.34-35) “contro l’incultura della sopraffazione e della violenza, egli auspica l’avvento della cultura moderna e civile della convivenza democratica”. Serve inoltre riferire e sottolineare la nostalgia di Salvatore Mannuzzo per la spiritualità delle Origini della Repubblica, pubblicata nella Lettera ad una Monaca “sulla Politica” (cfr. Avvenire,12 sett.2010), nella quale egli confessa”… di avere forte nostalgia di una cosa che non c’è più…la politica…come passione per un bene non solo mio o nostro, ma di tutti!”

In questa ottica e nella logica mounieriana di un necessario engagement è quanto mai opportuno e motivante, come contributo fondamentale e originale, segnalare la recente ricerca di Giorgio Campanini, studioso e maestro del pensiero politico del Novecento Cattolico italiano, che affronta in modo nuovo il tema decisivo e peculiare, sul piano storico e dottrinale, della “Spiritualità della Politica”(cfr.”Testimoni nel Mondo”- edizioni Studium, Roma 2010 pp.174) nei più importanti pensatori nodali del secolo passato sino all’insegnamento di Papa Benedetto XVI° nella “Caritas in Veritate” e nella precedente enciclica “Spe Salvi” nelle quali la spiritualità cristiana diventa “performativa” e non alienazione spiritualistica. D’altronde, a ragione, si chiede Umberto Galimberti: “Se le nuove generazioni non hanno un futuro prossimo, come fanno a credere in un futuro escatologico?” (cfr. Repubblica delle donne, 4 sett. 2010 p.254). Così la spiritualità  intercetta inevitabilmente la politica della solidarietà intergenerazionale come volano dell’avvenire perché “i giovani sono come le rondini, vanno verso la primavera” (Giorgio La Pira).

In Te Domine speravi…Il Signore della Storia ha le chiavi della porta del progresso dell’Italia nel Mondo Globale ma li ha affidate allo spirito di libertà e di Comunione degli uomini di buona volontà, dei giovani soprattutto, perché sinora non si è del tutto attivata la loro connessione e “lo Spirito di Gesù non è ancora pienamente in Rete…” per ricostruire la sua Casa (E. Mounier).

*Luciano Nicastro

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