S.E.MONS. PAOLO URSO SULL’ULTIMO LAVORO DI FRANCO CILIA

Ho letto Ginevra, l’ultimo lavoro di Franco Cilia, con interiore commozione. Il racconto, semplice e breve, è capace di suscitare emozioni e bei sentimenti. La proprietà del linguaggio e la varietà delle immagini permettono di “vedere” ciò che viene raccontato.
Ma ciò che mi ha colpito è soprattutto l’amore che il nonno, Franco Cilia, nutre ed esprime per Ginevra, la figlia di uno dei suoi figli, la nipotina venuta dopo tre maschi (Federico, Lorenzo e Francesco), la “principessa”, il “quadro più bello e luminoso” della sua vita.
Una pura coincidenza ha voluto che leggessi Ginevra contemporaneamente a L’ultima riga delle favole di Massimo Gramellini. Contestando l’espressione del “pensatore più famoso della città” che “l’amore è il cibo degli illusi”, una ragazza “con gli zigomi alti e i capelli corvini” aveva detto che “questo mondo tanto orribile a lei sembrava solo addormentato. E che a risvegliarlo non sarebbe stata la logica dei sapienti, ma l’energia degli innamorati: gli unici ancora capaci di coniugare i verbi al futuro”. Il conferenziere rispose che “per lui una fanciulla così carina aveva tutto il diritto di credere nell’amore, prima di uscire dal mondo delle favole e andare incontro alla realtà”. Ma la ragazza osservò: “L’amore è la realtà”.
L’amore di nonno Franco per Ginevra è tenero e forte, mette insieme presente e futuro, sogno e realtà, in un intreccio positivo e costruttivo. Egli la “sogna” (lei, che oggi è ancora una bambina) giovane donna, laureata alla Sorbona, esperta d’arte, che si fa notare “per i suoi saggi sull’arte del novecento, il cui rigore filologico e capacità di analisi” hanno contribuito a rileggere la storia degli artisti che hanno solcato la scena dell’arte nel secolo appena trascorso. La “osserva” a Parigi, dove si è recata per presentare una antologica del nonno, mentre attraversa lentamente le sale dell’importante museo o quando respira profondamente e regala il suo sorriso all’uditorio.
Per evidenziare la sua intelligenza e bellezza, Cilia indugia con un certo compiacimento sulle doti di artista che sa di possedere, sulla sua capacità di dare “forma visiva” al pensiero, sulla diversità delle sue opere dalle “croste che mercanti senza scrupoli hanno enfatizzato per portare denaro ai loro forzieri”.
Il cuore del racconto è costituito dalla sua conclusione: “L’amore vince sempre sul nero della morte”. Il Cantico dei Cantici, cioè il Cantico per eccellenza, il Cantico “sublime e perfetto”, l’inno all’amore, nella parte finale, evidenzia lo scontro tra le due forze presenti nella vita degli uomini, l’amore e la morte, con la vittoria del primo sulla seconda: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo” (8,6-7).
È stato detto che il contrario della morte non è la vita, ma l’amore.
Come è vero quel brano del sermone 365, nel quale S. Agostino scrive: “la bellezza non è altro che l’amore; l’amore non è altro che la vita. Quindi, se vuoi vivere, ama. Se ami, sei bello… Se questa bellezza ti manca, allora tu non vivi, hai solo l’apparenza della vita, ma non vivi dentro di te”!
Auguri, nonno Franco, auguri, piccola Ginevra. Felice e lunga vita!

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