Peculato all’ospedale di Vittoria: se la condanna non verrà annullata nei successivi gradi di giudizio, la sconterà ai domiciliari

Sì alla esecuzione di pena alternativa per l’infermiera Ornella Vietti, 59 anni condannata per peculato in primo grado, l’11 giugno scorso, a 4 anni di carcere con la pena accessoria del non potere più lavorare per la pubblica amministrazione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione. Si tratta di una sentenza di primo grado; diventerà definitiva se non appellata e, se appellata, dopo i successivi gradi di giudizio.

Oggi il Tribunale collegiale di Ragusa, ha accolto la richiesta di sostituzione della pena, dal carcere agli arresti domiciliari, autorizzando l’allontanamento dalla abitazione fino ad un massimo di 4 ore giornaliere, anche non continuative, inserendo nel corpo della sentenza la decisione. La donna attraverso il suo legale di fiducia, l’avvocato Santino Garufi, a pronunciamento della sentenza, aveva infatti richiesto – così come prevede l’articolo 545 bis del codice di procedura penale introdotto dalla cosiddetta  ‘riforma Cartabia’ e di recente modificato – una esecuzione alternativa della pena, con la possibilità di allontanarsi da casa per lavoro per 8 ore giornaliere (in base a un programma da concordare con l’Uepe, l’ufficio per le esecuzioni della pena) e altre 4 ore per esigenze personali e di salute. Richiesta ridimensionata dalla decisione del Tribunale e che sarà applicata se la condanna non verrà annullata nei successivi gradi di giudizio e quando diventerà definitiva.

I fatti

 Il 26 settembre del 2017 era stata arrestata insieme ad un’altra infermiera (poi scarcerate entrambe dal Riesame) dalla Squadra mobile di Ragusa. Secondo la tesi accusatoria, le due infermiere si sarebbero appropriate – per la disponibilità che ne avevano da incaricate di pubblico servizio e per la mansione che svolgevano all’ospedale di Vittoria, – di presidi sanitari e farmaci di esclusiva proprietà dell’Asp per poi somministrarli a degenti che venivano da loro stesse assistiti al di fuori della mura dell’Ospedale, con terapia domiciliare, facendosi pagare il prezzo del farmaco o del presidio sanitario sottratto all’Azienda sanitaria. La seconda infermiera è stata già condannata nel 2020 a 2 anni e 8 mesi con lo sconto di pena previsto per avere scelto il rito abbreviato, e con le stesse pene accessorie; è ancora in attesa, a quattro anni dalla sentenza, della fissazione dell’udienza di Appello. 

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