Morto Pallante, sparò a Togliatti, temeva comunismo. Italia fu a un passo da guerra civile. Aveva 99 anni, mai pentito

Antonio Pallante, l’uomo che sparò a Palmiro Togliatti, il leader del Partito Comunista Italiano, è morto all’età di 99 anni nella sua casa di Catania lo scorso luglio. La notizia è stata diffusa dai familiari. Pallante avrebbe compiuto 100 anni il prossimo 23 agosto. Nel 1948, Pallante esplose quattro colpi di pistola contro Togliatti, tre dei quali andarono a segno, in un tentativo di ucciderlo. L’attentato, avvenuto a Roma vicino alla Camera dei Deputati, scatenò forti manifestazioni di piazza e portò l’Italia a un passo dalla guerra civile.

Togliatti, ferito alla nuca e al torace, rilasciò un’intervista dal Policlinico di Roma per tranquillizzare tutti e assicurare che presto sarebbe tornato al suo posto. A riportare la tranquillità sociale, si ipotizzò, contribuì anche la vittoria di Gino Bartali di una tappa e poi del Tour de France. Pallante, un ex seminarista e membro della Gioventù Italiana del Littorio, aveva 24 anni ed era uno studente di Giurisprudenza fuoricorso. Disse di essere stato spinto all’epoca da un estremo nazionalismo e di aver acquistato l’arma a Randazzo, nel Catanese, dove viveva, con l’obiettivo di assassinare Togliatti.

Processato per tentato omicidio, fu condannato a 15 anni di reclusione, ma ne scontò solo tre. Dopo il rilascio, Pallante non si è più occupato pubblicamente di politica, ma non si è mai pentito del suo gesto, giudicandolo ripugnante, ma ritenendo che fosse la cosa giusta da fare per salvare il paese dal rischio comunista. Secondo il figlio di Pallante, il padre aveva sempre sostenuto di aver agito semplicemente perché da studente vedeva qualcosa che poteva essere una minaccia per la democrazia, intravedendo un legame tra Togliatti e l’URSS.

Dopo la sparatoria fu arrestato dai carabinieri e disse di avere acquistato l’arma a Randazzo e di essere arrivato a Roma con l’obiettivo di assassinare Togliatti. Un primo tentativo, compiuto il 13 luglio del 1948, il giorno prima dell’attentato, era andato a vuoto perché non era riuscito a farsi ricevere nella sede della segreteria del Pci, in via Botteghe Oscure. Processato per tentativo di omicidio fu condannato a 13 anni e otto mesi di reclusione. La pena in secondo grado fu ridotta a dieci anni e otto mesi. Dopo l’intervento della Cassazione e a un’amnistia scontò cinque anni e tre mesi di carcere e fu scarcerato nel 1953. Dopo avere lasciato la prigione, non essendo stato interdetto dai pubblici uffici, trovò lavoro alla Forestale, come suo padre, e poi alla Regione Sicilia senza interessarsi più, almeno pubblicamente, di politica.

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