L’integrazione possibile. La storia di Jallow arrivato in barcone a Pozzallo

“Ho scelto di rimanere qui. Mi sento accolto”. Toccante la testimonianza di Jallow Cherno Momodou, giovane gambiano che è arrivato a Pozzallo su un barcone il 21 aprile del 2017. Lavora in un bar del centro a Ragusa dove si sente accolto come un figlio. La sua testimonianza emerge nella presentazione del ‘Dossier immigrazione – Costruire il futuro con i migranti’ redatto dalla Diocesi di Ragusa. Un racconto, il suo, che esprime in qualche modo la sintesi del lavoro della Diocesi iblea a cui ha fatto riferimento anche il vescovo Giuseppe La Placa nell’introdurre il dossier e cioé che “la Chiesa cresce con la capacità di fare sentire protagonisti i suoi membri” e tutti coloro che hanno scelto di vivere nel territorio. “Non siamo chiamati a costruire un futuro per loro – ha detto il vescovo di Ragusa – ma con loro, fratelli migranti che si devono sentire a casa propria e protagonisti con noi”. Dopo un anno e sei mesi trascorsi in Libia, “sono riuscito a scappare e sono arrivato in Italia a Pozzallo, il 21 aprile 2017, era venerdì mattina”. Il racconto di Jallow Cherno Momodou è sereno ma non dimentica la sofferenza. “In Libia – racconta – per quattro mesi ho dormito ovunque, ho avuto fame non avevo cibo, ho provato ad attraversare il Mediterraneo per sette volte, e solo l’ultima volta ci sono riuscito”. Subito ha realizzato che senza imparare la lingua Italiana stare sarebbe stato tutto più difficile. Per un anno in un centro a Chiaramonte, ha voluto mettersi a studiare subito, ed ha iniziato ad andare a scuola anche se gli offrivano dei soldi per andare a fare qualche giornata di lavoro. “Era importante studiare e mi sono impegnato, ho preso la licenza media. Poi ho incontrato la Caritas, ho svolto il servizio civile. Tutte esperienze importanti che mi hanno aiutato; stare con gli italiani, parlare la lingua e non solo a scuola, frequentare ragazzi italiani, giocare con loro”. Perché voglio restare? Perché Ragusa è una città tranquilla, ci sto bene. Ho iniziato a lavorare dopo un corso per cameriere, è ciò che volevo fare. Sono riuscito a comprare una piccola casa lavoro al Caffé Italia che mi ha assunto dopo uno stage. Solo una cosa mi manca, la famiglia, mamma papà i miei fratelli che non vedo dal 2015”. Ma la sua spontaneità è e il suo sorriso, hanno fatto braccia nella famiglia Chessari che il Caffè lo gestisce. “Che fai a Natale? Mi ha chiesto il signor Chessari. – Nulla, sono a casa da solo. – Ti va di venire a casa mia? mi ha detto Sbrigati e vieni da noi -. E allora mi ha invitato a casa sua, abbiamo mangiato assieme. Sono stati veramente felice, l’ho raccontato anche ai miei genitori, ho trovato un’altra famiglia. Ora manca una moglie ma il mio sogno è restare qui”.

Un esempio di integrazione possibile, di come la Caritas, le Istituzioni e il privato abbia affiancato questo ragazzo per costruire assieme il futuro.

Veniamo però ai dati

“Nel 2021 sono sbarcati sulle coste italiane poco più di 67.000 migranti, 105.000 nel 2022 e al nel 2023 circa 20.000. Oggi giorno del click day del ‘Decreto flussi’ ci sono 83.000 posti disponibili. Possibile che l’Italia non riesca a gestire un flusso che corrisponde alle persone che può contenere uno Stadio Olimpico a Roma, dal momento che i numeri sono quasi corrispondenti tra chi arriva e le persone richieste dall’Italia?”. E’una delle considerazioni che Vincenzo La Monica, responsabile Osservatorio delle povertà della Caritas diocesana di Ragusa ha promosso, nell’ambito della presentazione del ‘Dossier immigrazione – Costruire il futuro con i migranti’ redatto dalla Diocesi di Ragusa. Un punto di partenza per sviluppare di concerto con gli altri ‘attori istituzionali del territorio’, politiche che puntino ad una integrazione reale che derivi non “dal fare per i migranti” ma dal “fare con”. I dati della fotografia attuale (che non tiene conto dei dati di tre comuni della provincia di Ragusa che appartengono alla Diocesi di Noto) indicano la presenza sul territorio, di circa 30.100 stranieri; 16.000 non comunitari e oltre la metà per ‘lungo periodo’ che hanno reddito e lavoro un livello già di integrazione profonda. Oltre 1000 gli stranieri che hanno un permesso per motivi umanitari. A questi dati si aggiungono quelli che si riferiscono agli alunni: 5500 i bambini e ragazzi che frequentano le scuole nel Ragusano, che sono di cittadinanza non italiana anche se 3020 di loro sono nati in Italia. Solo 266 sono inseriti in corso d’anno scolastico. Nella città capoluogo a Ragusa circa 400 scelgono di continuare il percorso di studi iscrivendosi ad un liceo, più o meno altrettanti quelli che scelgono un istituto professionale e un istituto tecnico. Il raffronto con i dati riferiti al registro degli italiani residenti all’estero (AIRE) e che riguarda la provincia di Ragusa dice che i Ragusani residenti all’estero sono 33.239, in gran parte in Argentina, Germania e Paraguay; il 47 per cento sono donne e solo il 21 per cento è ultra 65enne (circa il 50 per cento del totale ha tra i 18-34 anni e 35-49 anni con percentuali simili). Tra chi se ne va e chi arriva, il saldo è quasi azzerato.

La mobilità e il mercato del lavoro

Del mercato del lavoro, dell’impegno della diocesi iblea sulla mobilità umana ha parlato Renato Meli, direttore Ufficio diocesano delle politiche sociali e lavoro: 2030 domande nel settore del lavoro subordinato; 500 pratiche di ricongiungimento famigliare; 620 pratiche di cittadinanza (450 per residenza e 170 per matrimonio) e 426 permessi di protezione temporanea per i cittadini ucraini in fuga dalla guerra. SI tratta di un processo composito, quello della integrazione lavorativa, ha spiegato Meli, che va dalla sensibilizzazione alla validazione delle competenze, all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla creazione di modelli e metodologie di concerto con le istituzioni del territorio. Interessanti anche i dati relativi al progetto di microcredito messo in campo dalla Diocesi da qualche anno; 112 le richieste trasmesse alle banche per il finanziamento.

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