Le tre rivoluzioni agrarie e l’“oro verde” del modello Ragusa. di Uccio Barone

Nella sua lunga storia l’ ex Contea di Modica (oggi Provincia di Ragusa) ha conosciuto tre differenti “rivoluzioni agrarie”, a conferma del dinamismo socioeconomico del territorio e della collocazione baricentrica nel Mediterraneo. Ciascuna delle tre rivoluzioni ha innescato trasformazioni ambientali profonde ed ha configurato nel tempo le strutture urbane ed il tessuto sociale dell’ area iblea come esempio di sviluppo diffuso e di economia sostenibile. Riflettere sui caratteri originali della nostra storia ci aiuta a comprendere i mille fili della continuità che legano il passato al presente e al nostro stesso futuro.

Nel XVI secolo le riforme fondiarie degli Enriquez Cabrera e la diffusione dei contratti d’ enfiteusi scardinarono  anzitempo rispetto al resto della Sicilia il sistema latifondistico, sostituendolo con un prevalente tessuto di piccole e medie aziende orientate alla produzione dei pregiati grani “duri” ( adatti al trasporto a lunga distanza) ed all’ allevamento. Per quasi tre secoli grano e carne  hanno trainato un fiorente export mercantile con Spagna, Malta e stati barbareschi del Nord Africa, tale da assicurare un’ accumulazione di ricchezza che ha fornito ai patriziati urbani le risorse per costruire tra ‘500 e ‘600 l’ impianto scenografico delle “doviziose”  città e dopo il terremoto del 1693 la loro ineguagliabile “ricostruzione “ tardobarocca , oggi riconosciuta come patrimonio culturale mondiale . La storiografia ha illuminato bene i caratteri originali di questo periodo ( penso alle ricerche di Enzo Sipione e di Giuseppe Raniolo, nonché di Paolo Nifosì per l’ architettura urbana ) , ma molto resta ancora da studiare circa la formazione e la mobilità sociale delle aristocrazie locali. In diversi e recenti contributi ho insistito sulle notevoli capacità imprenditoriali Della nobiltà iblea, come testimonia il sorgere di paesi di nuova fondazione : S.Croce Camerina ad opera dei Celestre ( 1598 ), Vittoria per iniziativa dei Larestia ( 1607 ) , Mirabella Imbaccari  per conto del ramo modicano dei Paternò Raddusa ( 1630 ) e Palma di Montechiaro su spinta dei Tomasi ( 1637 ). Nell’ area iblea città e campagne non sono realtà contrapposte, ma un binomio inscindibile di economia avanzata e bellezza architettonica.

Nel corso del XIX secolo assistiamo alla seconda rivoluzione agraria in continuità con la prima. Alla tenuta del grano e dell’ allevamento sull’ altopiano, infatti, si affianca un autentico “boom” delle colture arboree, soprattutto del vigneto nella pianura ipparina ( dove s’ impiantano anche tabacco, cotone e fibre tessili ) e della consociazione carrubeto/oliveto nelle fasce collinari. Il famoso “Giornale di viaggio”  di Paolo Balsamo nel 1809 può considerarsi la data di avvio di questa intensa fase di crescita  che subisce una brusca interruzione alla fine del secolo per la crisi vinicola e per la dura repressione dei Fasci Siciliani. Nel primo quindicennio del Novecento, tuttavia, la favorevole congiuntura economica internazionale rilancia il trend positivo dei redditi agricoli, almeno fino al drammatico impatto delle due guerre mondiali. Le profonde trasformazioni dell’ agricoltura  hanno contribuito a ridisegnare il paesaggio urbano, nella misura in cui la crescita demografica e dei redditi ha innescato lo sviluppo dei palazzi neoclassici e degli edifici liberty. Si pensi al caso di Vittoria , città di nuova fondazione nel 1607 e destinata a diventare nell’ Ottocento la capitale vitivinicola del Sud-Est, o ancora alle splendide ville suburbane che punteggiano le campagne. Questa fase rappresenta una secolare “golden age” dell’ area iblea , ma nel complesso trascurata dalla letteratura storica ( mi limito a segnalare  lavori di Paolo Monello e il mio volume edito nel 2011 dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa ).

Negli anni ‘60 del XX secolo matura il “terzo tempo” della modernizzazione agricola. Decolla in modo spontaneo ma travolgente l’ “oro verde” delle colture ortofrutticole che danno vita alla “fascia trasformata” da Vittoria-S. Croce fino ad Ispica-Pachino. Dalle prime serre in legno e vetro ai “cultivar” con protezione di plastica fino all’ espansione delle coltivazioni “a pieno campo” pomodori, melanzane, zucchine , carote e peperoni consolidano  il primato produttivo delle campagne iblee,  contemporaneamente alla nascita di un competitivo comparto florovivaistico. Alla fine del XX secolo la Provincia di Ragusa con i suoi 8000 ettari di colture a pieno campo e con 5000 ettari di colture protette in serra si colloca al secondo posto nel Mezzogiorno ( dopo Foggia ) per Produzione lorda vendibile in Agricoltura, grazie ai flussi di esportazione sui mercati nazionali ed europei : quì si concentra oltre metà dell’ ortofrutta siciliana, quì sono insediate grandi aziende agroindustriali e Cooperative orientate all’ agricoltura biologica, Vittoria rappresenta il più grande mercato ortofrutticolo del Mezzogiorno a cui si affiancano quelli di S.Croce e Donnalucata .

La crescita non si limita al settore ortoflorofrutticolo ma si espande  sull’ altopiano dove il connubio virtuoso tra istituzioni locali e ricerca scientifica espande la zootecnia collegata agli stabilimenti dell’ industria lattiero-casearia. Analoghi successi conseguono gli oliveti di nuovo impianto e una viticultura di qualità che che con i marchi DOP ed IGP allarga gli spazi di mercato.
Non tutto l’ “oro verde” però luccica. Tanti i problemi, molte le difficili sfide poste dalla globalizzazione . La concorrenza della produzione similare della Spagna e del Nord Africa lascia indifesa l’ agricoltura iblea  che viene sacrificata dalla politica liberistica dell’ Unione Europea , grazie alla quale le grandi  imprese del Nord collocano nei Paesi Terzi del Mediterraneo ( PTM ) macchinari e servizi in cambio della “porta aperta” ai prodotti agricoli similari senza incontrare alcuna resistenza da parte della classe politica locale. Lo stesso avviene con l’ annosa questione delle “quote latte” che penalizzano la zootecnia e l’ industria lattiero-casearia ragusana a vantaggio degli interessi degli allevatori lombardi e franco-olandesi. Alle difficoltà del mercato internazionale si aggiungono le debolezze interne : un’ offerta frantumata di microproduttori incapaci  di associarsi a fronte di una domanda invece concentrata nella  Grande distribuzione che abbassa i prezzi fino a provocare il fallimento dei piccoli agricoltori ; l’ assenza di adeguate strutture consortili e il mancato sostegno creditizio; i condizionamenti speculativi della criminalità organizzata ; la debole capacità della classe politica di difendere gli interessi del territorio. Sono questi gli snodi cruciali da affrontare subito per superare le strozzature attuali e rilanciare le grandi risorse produttive dell’ agricoltura iblea. Quella che ha rappresentato nel tempo e nello spazio l’ autentica molla dello sviluppo locale.

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