LA SICILIA A UN BIVIO

Il voto d’autunno qui in Sicilia non sarà una normale tornata elettorale per il democratico avvicendarsi di partiti e uomini al governo. Stavolta siamo ad un bivio senza ritorno: o un rovinoso default economico e politico, con lo spettro del commissariamento e della disponibilità da parte dell’opinione pubblica ad una soluzione non elettiva (motivata dai luoghi comuni dello stile “tutti a casa”), se continueremo a fare della politica uno strumento per moltiplicare privilegi per gli amici, ricchezza per la casta, distribuzione di prebende e incarichi ai “clientes“, senza alcuna cura del bene comune, oppure un coraggioso cambio di rotta che segni una nettissima discontinuità per tentare di salvare, forse in extremis, la nostra sventurata regione.

Qui in Sicilia il primo non facile obiettivo verso cui dovrà tendere il nuovo governo è la “normalità” di un numero di dipendenti, di dirigenti e di consulenti adeguato al lavoro da svolgere; di stipendi e pensioni livellati al pari dei lavoratori statali; di efficienza e rapidità burocratica nella media italiana; di un numero di onorevoli proporzionato a popolazione ed estensione territoriale (da 90 a 50 potrebbe essere il taglio su cui concordare) con renumerazioni almeno dimezzate (o anche maggiormente ridotte, viste le disastrose condizioni finanziarie dell’Ente) senza ulteriori benefit. Si dovrà tendere alla “normalità” di una politica economica che crei le condizioni e le infrastrutture che permettano di far ripartire le attività produttive, tradizionali e soprattutto innovative, ad esempio nel campo delle energie alternative, mentre fino ad ora si è distorta l’economia reale a favore dell’assistenzialismo, inducendo migliaia di lavoratori a rinunciare alla ricerca di un vero lavoro perchè illusi da un incarico da forestale o da precario con la speranza irrealizzabile di essere stabilizzati. Si è fatta formazione per non formare nessuna figura lavorativa che possa davvero inserirsi nel mondo del lavoro. Si sono lasciate le infrastrutture all’inadeguatezza che ci condanna al sottosviluppo. Questi criteri ci hanno condotto alle soglie del fallimento. 

L’auspicio è che qui in Sicilia si effettuino i tagli necessari a partire dall’alto delle posizioni privilegiate (ricordiamo che il Governatore percepisce un’indennità di gran lunga superiore a quella dei suoi colleghi delle altre regioni), cercando di salvaguardare i ceti meno agiati, mentre ci sembra che il governo Monti sia ricorso a tagli lineari, che hanno toccato anche i redditi deboli, perchè non supportato adeguatamente in modo incisivo e lungimirante dalle forze parlamentari che lo sostengono e che non si mostrano capaci di un progetto “politico” di risanamento, così non rimane che il criterio “ragioneristico” di far quadrare i conti. La giustizia sociale è un valore non negoziabile specie in momenti di drammatica crisi. Occorrerà, infatti, tornare ad elaborare linee ideologiche e programmatiche che orientino l’operato politico, con l’orgoglio di esplicitare convincimenti e valori di alto profilo civile e morale, ma senza la rigidità e le contrapposizioni delle ideologie novecentesche. Forse per tracciare nuove strade dovremo tornare al pensiero dei grandi padri della patria, penso ai sempre attuali Sturzo e De Gasperi in primo luogo, che prospettavano la necessità di coniugare autonomia e responsabilità in un’ottica realmente democratica, come dovrà fare il nuovo governo regionale, senza mai smarrire il dialogo con noi cittadini di ogni condizione e categoria. E sarà un netto cambiamento di rotta, perchè fino ad ora spesso è si è interpretata l’autonomia solo come l’arbitrio di operare scelte a totale svantaggio della collettività, ma a vantaggio di pochi senza alcun controllo da parte dello Stato.

 

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