LA CULTURA, QUESTA SCONOSCIUTA !

Non molti si rendono conto dell’importanza della scuola e della cultura per il progresso sociale e civile di una nazione, anzi il responsabile economico dell’ultimo governo Berlusconi, il pur competente Ministro Tremonti, ha decretato che con la cultura non si mangia, anche se, subito dopo, more solito, la frase è stata smentita

La cultura in un contesto politico democratico abbraccia aspetti diversi, fra di loro intimamente connessi: la scuola, l’università e la ricerca, la diffusione culturale e gli investimenti ad essi collegati.

La battuta del Ministro altro non può essere che una amenità, nel resto delle democrazie avanzate di cultura si vive, con un contributo notevolissimo per il PIL che viene generato e per l’occupazione che ne deriva, che da soli costituiscono una strategia essenziale di crescita economica.

Poiché non si può pensare che questi elementi possano essere sconosciuti, in Italia, a chi ci governa, resta solo da ritenere che la cultura, in senso lato, non è posta in primo piano nelle politiche economiche perché manca la cultura amministrativa per gestirla,  frutto anche di un modello ideologico che si rifà a principi non idonei per una giusta considerazione della cultura come veicolo di sviluppo sociale.

Un popolo ignorante accetta qualsiasi politica imposta dall’alto, e forse questo fa piacere ai governanti.

Una cittadinanza abituata a ragionare, a porsi dei perché, tutti quelli che studiando hanno recepito gli insegnamenti impartiti da Docenti con la “D” maiuscola, i veri educatori che si sono posti come interlocutori e latori di una cultura profonda, rendono una nazione all’avanguardia.

La cultura è patrimonio sociale, è disposizione all’azione, alla democrazia, all’uguaglianza.

Andando a scrutare più da vicino gli ambiti in cui la nostra cultura si sviluppa per assumere i connotati distintivi della nazione, non c’è da stare allegri.

La scuola si dibatte fra gli eterni tentativi di riforme, inutili programmazioni e strutturazioni che hanno solo prodotto la consapevolezza generale dell’incapacità a gestire tali processi. Resta solo la realtà, acclarata anche a livello internazionale, della eccelsa qualità della scuola elementare, a cui non fanno seguito paragonabili livelli nelle medie e nelle superiori. Il corpo docente resta forse l’unico in Italia che non ha saputo tutelare e valorizzare il proprio ruolo, relegato sempre agli ultimi posti delle attenzioni dei governi di destra e di sinistra. Ci si muove ancora fra improbabili concorsi e criteri di valutazione per professori, molti dei quali, fortunatamente, responsabili e preparati, a cui, intanto, nelle more di decretarne la professionalità, si sono affidate le sorti di migliaia di giovani da preparare ed educare.

Parimenti ci trastulliamo con i tentativi di fissare regolamenti per valutare le performance dei dirigenti scolastici, che, nel frattempo, magari, hanno avuto modo di distruggere anni di prestigio e di tradizioni delle istituzioni scolastiche loro affidate.

Si inventano nuovi indirizzi, si cambia il nome a quelli già esistenti da decenni, si omette, con ostinata fraudolenza mentale, di considerare l’indispensabile collegamento fra scuola e lavoro, tralasciando di valorizzare l’istruzione tecnica che diventa fattore positivo determinante in un paese con una disoccupazione giovanile vicina al 40%.

In un tunnel, di cui ancora non si intravede lo sbocco, l’università e il settore della ricerca, abbandonati sull’altare delle esigenze di bilancio che ha ridotto al minimo stanziamenti e contributi.

Anche se tutte le forze politiche, con una retorica ormai abusata, sono d’accordo nel considerare la ricerca l’asse strategico per la ripartenza culturale ed economica del Paese, si è vicini all’azzeramento totale del finanziamento pubblico alla ricerca, con immaginabili conseguenze in termini di innovazione scientifica, evoluzione culturale e libertà di pensiero nel nostro Paese.

In un quadro economico desolante, che non lascia presagire nulla di buono, resta al palo la diffusione della cultura e, soprattutto, la tutela e valorizzazione dei beni culturali del nostro paese, simbolizzati dai crolli dei muri a Pompei: ci sono tesori inestimabili, non ci sono i soldi per mantenerli, c’è solo lo scaricabarile per le responsabilità, unica superstite la speranza che i tesori d’Italia non restino icone isolate di una cultura che non c’è più.

Ma sicuramente, in nome della cultura, si troveranno pur sempre i fondi per organizzare improbabili manifestazioni  che sfruttando la passione o gli interessi personali di qualcuno, apparentemente uomo o donna di cultura, ci propineranno, con il Patrocinio dell’Ente Pubblico e dell’Assessorato competente, la cultura in formato fastfood.

E’ come se vai da MacDonald, hai una fame da lupi, ti sembra di uscire sazio ma, in fondo, hai mangiato solo un panino e hai pagato quanto per un pasto normale.

Nel caso degli eventi culturali a pagare, fortunatamente, o, forse, purtroppo, è la collettività.

Non mi dilungo, perché siamo in tempi di campagna elettorale e questi temi, di certo, saranno oggetto di qualificati programmi e progetti dei partiti, traslati al popolo dalla competente retorica dei candidati.

 

 

 

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