ESCLUSIVA: Intervista al ricercatore comisano Giovanni Meli del gruppo di ricerca che ha scoperto l’anticorpo contro l’Alzheimer

È notizia di ieri la pubblicazione di un nuovo articolo scientifico redatto dai ricercatori della Fondazione EBRI “Rita Levi Montalcini” di Roma (in collaborazione con altre istituzioni italiane) tra cui spicca il nome del nostro conterraneo Giovanni Meli di Comiso, responsabile di un gruppo di ricerca proprio presso la Fondazione EBRI.

La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Cell Death and Differentiation, (LEGGI ARTICOLO PRECEDENTE), ha messo in luce l’anticorpo A13 di tipo innovativo e capace di svolgere la sua azione nelle cellule neuronali staminali. I ricercatori di EBRI sono stati in grado di contrastare le particelle tossiche presenti nei cervelli delle cavie animali indirizzando A13 nelle cellule neuronali staminali, prima che si differenziano in neuroni.

Grazie a questa nuova pubblicazione, si è riacceso l’interesse nazionale su una patologia che a causa della sua amplia e crescente diffusione è considerata tra quelle a maggior impatto sociale del mondo.

Abbiamo dunque intervistato in esclusiva per i nostri lettori di ragusaoggi il ricercatore Giovanni Meli di Comiso per spiegarci meglio questa nuova metodologia nella lotta al morbo di Alzheimer.

Salve Dottor Meli, in cosa consiste la vostra ricerca e come funziona esattamente l’anticorpo A13?

La nostra ricerca ha portato avanti diverse innovazioni utili al trattamento pre sintomatico dell’Alzheimer.
Grazie all’utilizzo di un anticorpo innovativo, l’anticorpo A13, in grado di riconoscere le molecole tossiche nelle cellule neuronali staminali.
A differenza delle ricerche precedenti che utilizzano anticorpi meno selettivi e specifici ed attaccano il morbo quando ormai è troppo tardi per i pazienti, la nostra ricerca si è concentrata soprattutto sulle cellule neuronali staminali, una ricerca innovativa se si pensa che l’esistenza di questa “sacca” di cellule nel cervello dell’uomo è stata solo di recente avallata dalla scienza. Gli esperimenti condotti sui topi pre-sintomatici, esemplari che cioè non avevano ancora dimostrato nessun tipo di disturbo patologico evidente, hanno portato alla luce la bontà della nostra ricerca in grado di “curare” difetti da noi scoperti all’interno delle cellule neuronali staminali, prima che si formino come veri e proprio neuroni e dunque molto prima che si notino i primi sintomi dell’avanzamento del morbo di Alzheimer.

Possiamo solo intuire l’impegno e le intuizioni che ci sono state prima del raggiungimento di questo risultato. Alla luce di ciò e anche considerando il notevole interessamento dell’opinione pubblica sul vostro ultimo articolo, quali sono le prospettive della vostra ricerca?

È ancora presto per poter parlare di un’applicazione a livello umano.
Abbiamo appena terminato la fase di ricerca su cavie animali ed i risultati sono stati molto positivi. Speriamo che con il passare degli anni e l’avanzamento delle ricerche basate su questi nuovi anticorpi innovativi, riusciremo prima a diagnosticare precocemente la patologia dell’Alzheimer e dopo a curarla.

Lei è di Comiso, secondo lei è possibile fare ricerca in Sicilia? Tornerebbe a vivere in Sicilia?

Subito dopo il liceo ho studiato a Catania e una volta ottenuta la laurea sono andato via dalla Sicilia.
Anche se coltivo dentro un cassetto il sogno di tornare a vivere nella mia terra, è anche vero che la presenza di strutture di ricerca in Sicilia è insufficiente rispetto a numero, potenzialità e aspettative dei neolaureati. Se si esclude la ricerca legata all’università e ad altre piccole realtà, sempre difficilmente connesse con gli attori nazionali ed internazionali della ricerca, non c’è praticamente nulla. Anche in questo settore, come in tanti altri la Sicilia ahimè è vittima di se stessa, con un enorme “fuga di cervelli” verso regioni del centro-nord e all’estero.

Ringraziamo il dottor Meli per il tempo che ci ha dedicato soprattutto in questo periodo successivo alla pubblicazione dell’articolo scientifico, quando televisioni e testate nazionali stanno facendo la fila per poterlo intervistare. Grazie  alla sua gentile disponibilità siamo riusciti a capire qualcosa in più di quella che a tutti gli effetti potrebbe essere una innovazione in campo scientifico e medico.
Marco Dell’Albani

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