IL ROMANZO RUSSO DELL’OTTOCENTO

Alessandro I di Russia (1777-1825), divenne imperatore nel 1801 e alimentò speranze di riforme liberali. Ma la svolta conservatrice dello zar, che ebbe il suo apice con il soffocamento della rivolta decabrista (chiamata così per il mese in cui avvenne: dicembre 1825), e l’autoritarismo del suo successore Nicola I, non spensero il fervore delle nuove idee e iniziative, cui invece corrispose una copiosa produzione letteraria e poetica.

La maggiore fioritura del romanzo russo si ha intorno alla metà del secolo XIX, e la mescolanza col romanticismo la troviamo nella figura e l’opera del grande poeta e  romanziere Aleksandr Puškin (1799-1837).

Alla caduta di Nicola I, presero l’avvio con il suo successore Alessandro II, riforme socio-politiche, che nel 1861 culminarono con l’abolizione  della servitù della gleba.

Tuttavia già prima tutti i grandi narratori, avevano poste le premesse per la loro produzione maggiore: Ivan Gončarov (1812-1891), aveva già pubblicato il suo capolavoro Oblomov (1859), Ivan Turgenev (1818-1883) e Lev Tolatoj (1828-1910) alcuni significativi racconti, ma anche  Fëdor Dostoevskij (1821-1881), che stava per pubblicare Memorie di una casa di morti e Umiliati e offesi. E aggiungo il più anziano, Nikolaj Gogol’(1809-1852), il quale nel romanzo Le anime morte (1842) lasciò il resoconto inquietante delle peregrinazioni attraverso la provincia russa di un profittatore, intento ad acquistare a poco prezzo  le “anime morte” dei servi della gleba – morti effettivamente, ma non ancora registrati come tali – consentendo spregiudicate speculazioni, perché sulla base del numero dei servi della gleba un proprietario poteva acquisire  ulteriori terre e  maggior credito.

Gogol’, grande ritrattista e creatore di caratteri, raggiungendo  esiti drammatici o satirici e grotteschi.

Dopo gli anni sessanta  l’aristocratico Tolstoj eccelle nell’analisi della sua classe sociale, anche se matura una progressiva presa di coscienza e un sempre più deciso atto di accusa sostenuto da un intenso umanitarismo cristiano contro le ingiustizie  sociali.

Dostoevskij (figlio di un medico aristocratico decaduto e povero) rappresenta la nuova classe intellettuale; ma nello stile di realismo travagliato da una profonda introspezione.

Gončarov fu un esponente  di una famiglia di ricchi commercianti, con un’ottima cultura, che sceglie una carriera di burocrate e mena un’esistenza agiata e tranquilla. Questo letterato si esprime al meglio con Oblomov dove narra la vicenda del pigro e inetto Oblomov, proprietario terriero vicino al fallimento. Lo stile è lento, minuzioso e ironico, dotato di finezza psicologica. I personaggi, oltre al protagonista sono memorabili (troviamo il servo Zachar,  e Agaf’ja, la padrona di casa moglie di Oblomov). L’inerzia di Oblomov fu addirittura  elevata a  categoria comportamentale e sociale e osservata da due opposte specole: l’oblomovismo sarebbe un nemico da battere, e l’opera un atto d’accusa contro la società dominante; o viceversa segnerebbe l’esaltazione della contemplazione rispetto all’azione.

Riguardo a Turgenev, figlio di un nobile in miseria e di una ricca proprietaria terriera, fra i romanzieri russi fu il più noto in Occidente e il primo ad essere tradotto (egli visse a lungo in Germania e ancora di più in Francia, ebbe molti rapporti  con la società intellettuale del tempo e  dove morì), è il più vicino ai modi e alle tematiche  occidentali. Ciò nonostante nei sui testi non si allontanò mai dalla realtà e dai problemi della Russia interpretandone le ragioni riformiste e progressiste.

Dopo un esordio come poeta, compare la sua vena realista nell’illustrare in alcuni  racconti (Memorie di un cacciatore): la descrizione della campagna russa, e delle condizioni dei servi della gleba, ebbe un tale successo che lo stesso zar Alessandro II fu stimolato  alle riforme allora introdotte.

L’impegno sociale lo riversò soprattutto  nei romanzi: tra cui emerge Padri e figli, ritratto della Russia ottocentesca, dovesi registra  la contrapposizione tra la nuova Russia della generazione ribelle dei “nichilisti” e l’idealismo benevolo, ma inefficiente dei padri aristocratici ancora legati alle arcaiche proprietà fondiarie, in uno stile ricco di delicata musicalità.

La diffusione  italiana dei grandi romanzieri russi dell’Ottocento segue l’interesse francese verso l’attrazione della cultura slava: l’evangelismo commosso di Tolstoj, il suo culto per la natura, i temi della bontà e della pietà, la finezza psicologica e, riguardo a Dostoevskij, l’acuta introspezione, ma anche la descrizione delle miserie sociali e delle patologie mentali, che lo fecero recepire spesso (con  notevole fraintendimento critico) come lo “Zola russo”.

In Italia fu Gabriele D’Annunzio a trapiantare  per primo nei suoi testi la nuova voga russa. Ciò avvenne, in particolare, nel racconto lungo Giovanni Episcopo e nel romanzo L’Innocente; il primo, un vero e proprio omaggio allo stile di Dostoevskij: il secondo, percorso dalle tematiche tolstojane della bontà.

 

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