IL “CAVALLO DI TROIA”… DEI LAVORATORI

Finalmente un raggio di sole squarcia le nubi che si sono addensate sul governo dopo lo scontro sull’art. 18: il buon senso ha avuto, per fortuna, la meglio.

Sono più volte tornato sull’argomento ribadendo una posizione di intransigenza sull’ipotesi di non sanzionare con il reintegro un licenziamento ingiusto, quindi le notizie che provengono dal governo sono sicuramente benvenute; ma non è il momento di cantare vittoria!

Messo al sicuro il risultato immediato tutti dobbiamo ora lavorare per il consolidamento di questo risultato e per evitare che le tutele del lavoro vengano messe continuamente a rischio: va operata una lotta contro chi pone le premesse perché siano insidiate le tutele dei lavoratori.

A scanso di equivoci non parlo di Confindustria, delle associazioni datoriali, dei liberisti, delle forze di centrodestra etc., per dirla con una parola, di tutte le controparti istituzionali, ideologiche o politiche dei lavoratori che nella normale dialettica politica e sociale cercano di far pendere l’ago della bilancia verso l’impresa, questo appartiene alla fisiologia, parlo invece dei lavoratori che abusano dei diritti e delle tutele che la legge riconosce loro e che così facendo ne indeboliscono il valore culturale.

E’ il momento di lanciare una grande iniziativa culturale per una rinnovata Etica del Lavoro!

Prescindendo dalle valutazioni personali sul provvedimento, quando 3 anni fa Brunetta violò il sacrosanto principio dell’integrità della retribuzione del lavoratore ammalato, l’operazione fu resa possibile dall’abuso dei certificati medici per malattia perpetrato da un’ampia platea di lavoratori, risultato: un diritto conquistato dopo lotte secolari parzialmente (ancora, per fortuna) perduto senza poter opporre una efficace resistenza!

E ricordate la vicenda dello stabilimento Fiat di Pomigliano, quando furono enfatizzati i dati di assenteismo in fabbrica in concomitanza di importanti partite di calcio? In quel caso il prezzo fu la deroga alla contrattazione nazionale con il conseguente indebolimento delle tutele sindacali.

Questo dimostra che non è la legge o i regolamenti che ci pongono al riparo dall’incursione nei diritti, le regole cambiano se non sono sorrette da una solida autorevolezza culturale e civica.

Nessuno si illuda che essere riusciti oggi a difendere (almeno in parte) le tutele dell’art. 18 ci metta al riparo dai futuri attacchi che verranno su quel fronte se non si scava una profonda “trincea culturale” a difesa di questo “baluardo”!

Il “modello tedesco” dei licenziamento reggerà solo se sarà accompagnato da un “modello tedesco” anche del senso del dovere, altrimenti coloro che ne hanno interesse avranno buon gioco a sgretolare le difese dei lavoratori.

Il lavoro, oggi come mai, è una ricchezza che chi possiede deve custodire gelosamente non solo per  se, ma per tutti i lavoratori, sia presenti che futuri.

Alla dignità del lavoro e all’importanza delle tutele ci dobbiamo per prima credere coloro che abbiamo la fortuna di averlo un lavoro da difendere sia culturalmente che socialmente che economicamente.

E’ ora di smetterla di tollerare la logica del “ma lo fanno tutti”, “e io che sono più fesso?” che serve solo ad autolegittimare coloro che vogliono depotenziare la dignità del lavoro e i diritti ad esso connessi.

Così come chi evade le tasse ci depaupera dei servizi collettivi, chi non fa il proprio dovere sul luogo di lavoro depaupera noi come cittadini della qualità del servizio che svolge, e ci danneggia come lavoratori perchè rende più fragile la tutela dei nostri diritti.

Come in ogni grande battaglia culturale, per avere possibilità di riuscita gli attori devono essere molteplici e convergenti:

a) le varie agenzie educative (la scuola, la Chiesa etc.) dovrebbero educare al senso del dovere, dovrebbero cominciare a dire con chiarezza per esempio che chi utilizza i permessi per assistere gli inabili come giorni di ferie (mi sembra un un fenomeno largamente diffuso) ruba un giorno di paga all’INPS (quindi alla comunità che potrebbe utilizzarli per chi perde il lavoro) e rende più fragile e vulnerabile una norma di grande civiltà giuridica!

b) anche i sindacati dovrebbero cominciare un processo di responsabilizzazione che li porti a prendere le distanze dai tanti episodi di malcostume lavorativo; sia chiaro anche il lavoratore che oggettivamente può dare meno dei colleghi va difeso (come ogni persona che fa il proprio dovere), purchè non sia un atto di “furbizia”!

E torniamo sempre alla furbizia. Avremo risolto la maggior parte dei nostri problemi culturali quando avremo interiorizzato il concetto che la “furbizia” non è un valore!

L’intelligenza lo è e non a caso attingendo ai ricordi del Catechismo tra i doni dello Spirito Santo ci sono diverse categorie “intellettive (Intelletto, Sapienza, Scienza), ma non certo la furbizia!  

E allora torniamo a ostentare l’orgoglio di fare il proprio dovere e attiviamo meccanismi di riprovazione sociale nei confronti di chi con varie pseudo-giustificazioni o alibi non perde l’occasione per fare il “furbo” alle nostre spalle.

 

 

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