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IGNAZIO BUTTITTA
09 Gen 2014 06:15
Ignazio Buttitta è un famoso poeta siciliano. Nasce a Bagheria, vicino a Palermo il 18 settembre 1899 da una famiglia di commercianti. Ha un’infanzia travagliata e nel 1917, arruolato partecipa alla battaglia del Piave. Tornato a casa frequenta molti poeti e intellettuali del tempo. Autodidatta, fà nella sua giovinezza svariati mestieri, e si dedica anche alla poesia dialettale ed è anche un antifascista molto attivo.
La sua prima raccolta poetica è del 1923 intitolata Sintimintali. Nel ’28 pubblica il poemetto Marabedda. Con Lu pani si chiama pani del 1954, che fu poi tradotto da Salvatore Quasimodo e illustrato da Renato Guttuso, ha conquistato fama internazionale. L’opera dialettale di Buttitta è un’ulteriore prova che la poesia dialettale non è affatto una poesia di serie b.
Tra le sue opere vanno ricordate anche Lu trenu di lu suli (1963), La peddi nova, La paglia bruciata, e altre ancora, inoltre scrisse anche opere teatrali. Nel 1980 presso la facoltà del Magistero dell’Università di Palermo gli viene conferita la laurea honoris causa in Materie Letterarie. Muore a Bagheria il 5 aprile 1997. Le sue poesie sono state tradotte in Francia, Spagna, Grecia, Romania, Cina e Russia.
Per avere un esempio concreto dell’opera di Ignazio Buttitta ecco Un Cristu ncruci. È una lirica centrata sulla figura degli zappatura (zappatori), dei braccianti che non lavorano sui terreni di loro proprietà e non hanno un lavoro continuativo in quanto la zappatura è solo periodica.
C’è un campanaru àutu C’è un campanile alto
a lu me paisi, al mio paese,
un Cristu ncruci, un Cristo in croce
e un parrinu e un prete
chi dici la missa. che dice la messa.
C’è llu suli chi spunta di lu mari C’è il sole che spunta dal mare
e binidici e benedice
li casi vasci; le case basse;
fa lùciri li ciacchi di li mura fa splendere le crepe dei muri
e l’acqua spicchiula di li funtani; e brillare l’acqua delle fontane;
li mammi puvireddi le madri povere
a lu sogghiu affacciati affacciate alle soglie
si lu mancianu cu l’occhi se lo mangiano con gli occhi
stu suli, questo sole,
ci lu dananu lo dànno
cu lu latti col latte
a li nutrichi ai bambini
appizzati a li crapicchi; attaccati ai capezzoli;
ci gràpinu li porti, gli aprono le porte,
si inchinu li fadala, se ne riempiono i grembiuli,
la conca di lu pettu, la conca del petto,
li gnuni friddi gli angoli freddi
e li casciuna vacanti. e i cassetti vuoti.
Ci su li zappatura Ci sono gli zappatori
senza terra senza terra
e pani picca e poco pane
a lu me paisi, al mio paese
ca peddi sicca con la pelle secca
e sucata a li masciddi e succhiata alle mascelle
come cùtini di porcu come cotica di porco
siccata a lu suli: seccata al sole:
Ommini agghimmati, uomini ingobbiti,
carini torti, schiene storte,
occhi di nnuccenti carzarati, occhi d’innocenti carcerati,
di cunnannati a morti. di condannati a morte.
Li zappatura. Gli zappatori.
Ossa, siccumi, caddi Ossa, seccume, calli
e centu seculi di pitittu e cento secoli di fame
supra gli spaddi, sopra le spalle.
e robi sfatti e vestiti consunti
di suduri e tempu, dal sudore e dal tempo,
e pezzi a li cammisi: e pezze alle camicie:
pezzi a li cammisi pezze alle camicie
arripizzati rattoppate
di manu popupulana da mano popolana
cu marreddi di cuttuni con matasse di cotone
a cridenza prese a credito
nni lu putiàru vicinu. dal bottegaio vicino.
A lu me paisi Al mio paese
Lu populu è sicuru il popolo è sicuro
ca un ghiornu che un giorno
Cristu scinni di la cruci: Cristo scende dalla croce:
ddu jornu quel giorno
lu parrinu un dici missa, non dirà messa il prete,
lu sagristanu il sagrestano
un sona li campani. non suonerà campane.
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