“DOMANDE A DIO SUL DOLORE DEGLI INNOCENTI.”

Ieri sera ho vissuto un bel momento di emozione intensa grazie a uno spettacolo teatrale organizzato dal CRAL della BapRG presso la chiesa di San Vincenzo Ferreri.

Il nostro bravo Gianni Battaglia (che ha anche curato la regia), collaborato da 4 giovani del laboratorio teatrale del liceo classico (Martina Lauretta, Enrico Mallia, Enrico Novello e Federica Parisi) e alternando la propria recitazione con le musiche tradizionali ebraiche del Gruppo Klezmer (Gianluca Campagnolo, Francesco Scrofani Cancellieri, Valerio Battaglia e Gianluca Abbate), ha messo in scena un monologo di grande tensione emotiva.

Il testo è costituito da una rielaborazione in chiave teatrale fatta dal caro Emanuele Giudice di uno scritto di Zvi Kolitz autore ebreo contemporaneo vissuto in America e ovviamente è incentrato sulla Shoah; in sintesi è l’urlo di dolore di Yossl un ebreo sopravvissuto a tutta la sua famiglia e a tutti i suoi compagni di lotta nell’ultimo giorno di resistenza del ghetto di Varsavia alla repressione nazista.

L’urlo di dolore è indirizzato a un Dio nei cui confronti Yossl sente di essere a credito, con cui si relaziona non in modo ossequioso e sottomesso, ma col piglio di chi rivendica attenzione e sostegno, quasi a rimproverarlo della sua “assenza” durante la catastrofe di dolore e distruzione che ha coinvolto il “popolo eletto”; è un dramma delle domande senza risposte, della sete di giustizia insoddisfatta, le domande che tutti i nostri cuori levano nel momento del dolore e che si trasforma in rabbia e disperazione per l’insensatezza dell’innocenza calpestata e distrutta.

 Ma la rabbia non ha come sviluppo il nichilismo; come in Giobbe, ma senza la sua sottomissione, quasi con orgoglio e sfrontatezza alla fine prevale l’affermazione di chi è saldo nella fede nonostante tutto, di chi non può e non vuole proprio all’ultimo momento della propria vita, quello decisivo, quello della comprensione del tutto, perdere il senso di tutta la propria esistenza rinnegandone l’essenza più profonda; riaffermare la propria fede in Dio è in fondo l’estremo atto di resistenza etica ai “senza-Dio”, ai carnefici.    

La suggestione emotiva del testo di Emanuele Giudice carico di una tensione costante resa in pieno dall’interpretazione di Gianni Battaglia, il contrappunto delle belle e ben interpretate musiche, la congruità con il testo data dall’innocenza dei giovani aspiranti attori e dal palcoscenico costituito dall’abside della bella chiesa tardo barocca hanno costituito un unicum di grande potenza drammatica.

L’idea poi che autore, regista, attore principale, giovani attori e musicisti fossero tutti figli della nostra terra fa riflettere sui tanti talenti spesso incompresi o inespressi, ma sicuramente poco conosciuti di cui è ricca la nostra provincia e sulla assoluta necessità di spazi di promozione culturale di cui siamo gravemente carenti.

 

 

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