Commercializzazione canapa light, è reato salvo che….

Dopo lunghi mesi di attesa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale si sono pronunciate per rispondere al quesito se condotte diverse dalla coltivazione di varietà certificate di cannabis sativa L., ed in particolare la commercializzazione delle infiorescenze, rientrassero nell’ambito di applicazione della Legge e pertanto, se penalmente irrilevanti.

Ebbene, dall’informativa provvisoria diffusa dalle Sezioni Unite, emerge un quadro che necessita di essere valutato.

L’informativa si compone di due periodi:

Nel primo, la Corte afferma che “la commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, fiori, olio, resina derivati dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, NON  rientra nell’ambito di applicazione della Legge n. 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte (…) e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati”.

In questo senso la Corte si è chiaramente pronunciata per una interpretazione in senso tassativo-restrittivo dell’ambito di applicazione della Legge n. 242/2016, fermandosi al mero dato letterale.

Questo assunto appare abbastanza chiaro se non fosse per il riferimento alle foglie ed agli olii (senza chiarire quali) che, come noto, possono invece trovare destinazioni di utilizzo all’interno delle categorie espressamente previste dall’art. 2 della medesima legge.

In senso più ampio e forse più attinente alla prassi applicativa, tale indicazione potrebbe essere intesa come volta a  sancire un divieto di commercializzazione di tali prodotti al di fuori delle categorie tassativamente elencate nell’art. 2 e, pertanto, andare a rendere fuorilegge le destinazioni “ad uso tecnico” o “da collezionismo” di tali prodotti.

Nel secondo periodo, PERO’, la Corte di Cassazione si pronuncia sul quesito di diritto che le era stato posto affermando che “integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4 DPR 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione AL PUBBLICO, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. , salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”

Ne consegue che la Suprema Corte ha ritenuto che condotte di cessione di derivati di canapa industriale privi di efficacia drogante NON integri il reato di cui all’art. 73 del T.U. Stupefacenti.

A questo punto resta da capire come si determini l’efficacia drogante.

Sino ad ora, per consolidata tossicologia forense e letteratura scientifica, recepita da tempo dalla stessa Corte di Cassazione, la soglia drogante è stata fissata nello 0,5%.

Per cui la sentenza delle Sezioni Unite che prima affermava il divieto di commercializzazione di prodotti fuori dalle ipotesi di cui alla L. n. 242/2016 ha invece poi affermato che condotte di cessione di derivati privi di efficacia drogante non costituiscono reato penale.

Ciò determina una apparente contraddizione che potrà forse essere chiarita a seguito del deposito delle motivazioni da cui si potrà desumere l’impianto logico-giuridico seguito delle Sezioni Unite.

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