Cassazione: maestra che urla contro i bambini e li mette in castigo rischia condanna per maltrattamenti in famiglia

Una sentenza destinata a fare discutere quella emessa dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che con la decisione n. 38403 del 26 novembre 2025 ha accolto il ricorso della Procura di Ancona e ha riaperto il caso di una maestra d’asilo accusata di maltrattamenti sui bambini tra i tre e i cinque anni.

La vicenda era già stata esaminata dalla Corte d’Appello, che pur non negando le condotte contestate — urla ripetute, bambini messi all’angolo, spintoni, piccole percosse e punizioni — le aveva ritenute non penalmente rilevanti. Ma per la Cassazione questa valutazione è stata troppo superficiale.

Come riportato dal sito Cassazione.net, e segnalato da Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, i giudici di legittimità hanno sottolineato come non si possa ignorare “la cartina tornasole” degli effetti subiti dai piccoli:

  • rifiuto di andare all’asilo,
  • attacchi di pianto,
  • disturbi del sonno,
  • e altri segnali di sofferenza, tutti documentati nelle prove raccolte.

Per la Cassazione, dunque, la domanda non è più solo se la maestra abbia urlato o spintonato i bambini, ma quanto quelle condotte — già accertate in primo grado grazie alle videoriprese e alle testimonianze dei genitori — abbiano inciso sul benessere psicofisico dei minori.

Un passaggio fondamentale è dedicato all’elemento soggettivo del reato, previsto dall’art. 572 del codice penale. Non serve, precisano i giudici, che l’autore agisca con l’intenzione di infliggere sofferenze “senza plausibile motivo”: è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di imporre ai bambini una condotta vessatoria, ripetuta nel tempo e capace di lederne la personalità.

La sentenza stabilisce quindi un principio chiaro: nell’ambito educativo, soprattutto con bambini così piccoli, urla, pressioni fisiche e punizioni umilianti non sono “metodi severi”, ma possono integrare un vero e proprio reato di maltrattamenti in famiglia, vista la particolare relazione di affidamento che lega i minori alla figura dell’educatore.

Una decisione che potrebbe aprire la strada a nuovi criteri di valutazione nei casi di violenza psicologica nelle scuole dell’infanzia, e che richiama l’attenzione sul confine — oggi più che mai netto — tra disciplina e abuso.

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