“CARTA, FORBICE E PIETRA”

 

La presentazione del libro di Angelo Aliquò, ex commissario straordinario dell’Asp di Ragusa, è avvenuta nella gremita saletta della libreria Flaccavento di Ragusa. Un ritorno dell’Autore nella città che per più di un anno lo avuto come amministratore della più grande Azienda del territorio. Ritorna sempre volentieri Aliquò a Ragusa perché l’ha amata molto e continua ad avere con la città un forte legame. Del resto la presenza di tante persone ha ricambiato questo affetto.

 Elisà Mandarà ha presentato il libro affermando: «il tuo libro seppure   esile sul piano fisico è  al contempo caratterizzato da un peso oggettivo, capace di ospitare contenuti significativi ed assai rilevanti in termini di argomenti gravitanti attorno ad una triade filosofica esistenziale riguardante temi titanici come la vita la morte e  l’amore» Elisa Mandarà,  ha voluto cominciare dall’epigrafe che l’autore ha scelto affidandosi a  Emily Dickinson – “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.” 

Lo scrittore in questo libro è riuscito con destrezza a rappresentare la passione, la ragione e la forza.

Nel libro, l’autore decide di dividere la storia in realtà con delle TRE storie parallele che si intrecciano, si abbracciano e   si ricongiungono dall’inizio alla fine in otto episodi narrativi corrispondenti ad una galleria sintetica di personaggi che sono Gabriele Giuseppe ed Anna. Il libro ha anche un altro   significato ideale che vuole, sicuramente,  veicolare un messaggio civile quello  legato alla cultura dell’antimafia, attraverso la testimonianza toccante e civile di un figlio della cultura dell’antimafia. L’Autore mette una dopo l’altra  l’insieme delle pagine che trovano,  uno dei momenti più importanti,  certamente di più grande impatto emozionale, quelle che riguardano proprio l’uccisione del padre.

Volendo visitare insieme il libro:  una prefazione che focalizza subito elementi essenziali che costituiscono la storia stessa della cultura antimafia: la testimonianza diretta della realtà,  figlio di un poliziotto  ucciso dalla mafia.

Nello scorrere le pagine si ha la sensazione che Gabriele sia l’alter ego dell’Autore.

« Io, per fortuna,  – intervenendo  Aliquò – non ho vissuto quella la tragedia del personaggio Gabriele,   ma è anche vero vivendo  a Palermo  si possa crescere a contatto con ragazzi che appartengono a contesti diversi,     perciò trasferisco nel libro queste esperienze  della mia vita. Un ricordo impresso nella mia memoria è proprio quello di un poliziotto, padre di un mio compagno di classe che una mattina aspettava suo figlio al bar sotto casa e  fu ucciso. In qualche modo quell’uomo, apprezzato per la sua figura, era un’icona: enorme gigantesco, che si prese un proiettile in faccia, non potrò mai dimenticarlo

La copertina rappresenta due uomini alla pari, due modelli differenti, due immagini della stessa città con  due bambini buoni. Crescendo uno, Giuseppe, vivendo un contesto di malavita si involgarisce e prevale in lui la volgarità della prepotenza. L’altro, Gabriele, invece che cresce e forgia il suo carattere in un ambiente agli antipodi, rappresenta l’esperienza del mio lavoro di manager dell’Azienda sanitaria. Ho tratto spunto su come ci si comporta in un pronto soccorso. Ho cercato, quindi, di immaginare la bellezza di un lavoro che mi ha fatto capire conoscere un mondo meraviglioso quella della sanità dove i medici salvano la vita delle persone.

 Un altro motivo che corre nei tanti momenti del libro è il rapporto non conformista dell’autore rispetto alla ortodossia religiosa. «La Chiesa – dice Aliquò – è fatta da tante persone e tra queste ce ne sono di intelligenti e non come qualsiasi aggregazione umana.  Io ho rispetto per chi non la pensa come me e vorrei che fosse così anche per gli altri.»

Vorrei vivere in una Sicilia diversa perché non basta combattere la mafia, ma anche l’atteggiamento di prepotenza di arroganza di sfruttamento del debole. In questo libro si racconta del desiderio, del bisogno di un progetto che realizzi una Sicilia, una Palermo diversa.

Un’altra parte che lascia nel lettore un forte segno: “E così quella sera liberammo la volpe chiusa in gabbia da troppo tempo è quella della liberazione della volpe….. Una volta tagliata la gabbia, alzai la rete con tutte le mie forze e la volpe improvvisamente uscì dal suo nascondiglio e mi si piazzo davanti quasi come e avesse capito le mie intenzioni e come se mi stesse aspettando…… Le mie mani sanguinavano già e finalmente tirai più forte la rete. La volpe si fermò, poi fece un passo indietro alzando lo sguardo e ci guardammo negli occhi, come se mi dicesse: «Io ora passerò, tu non tradirmi, non mollare la rete». Passò strisciando la pelliccia sulle mie dita sanguinanti che tiravano la rete e, quando fu fuori si fermò di nuovo e ci guardammo ancora negli occhi io e lei, e io piansi dalla gioia.”    

                                                                                                                              

 

 

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