Caro “hater” ti scrivo, così ti querelo un po’

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

… e siccome sei molto “villano”, più forte ti scriverò … Così cantava il poeta. Su per giù.

Alzi il dito chi non ha avuto a che fare almeno una volta con un commento offensivo (o un insulto personale) sul Web! E il tema rischia di diventare incandescente e attuale più che mai adesso, nel cuore sempre più infuocato della campagna elettorale. Sui social i toni si alzano. È l’erezione dei commenti. La fibrillatio degli emboli.
Nel mio piccolo, anche io posso vantare modestamente la mia piccola, ma preziosa collezione di “odiatori”. Pochi ma buoni. D’altro canto, chi scrive, come me, in una testata on line (che fa capolino anche su Facebook) non può e non deve frignare, se qualcuno ritiene di esprimere ogni tanto disprezzo per l’articolo (e/o per l’autore). Fa parte del gioco. Ci sta. It stays. Me l’accollo. Non bisogna esaltarsi per gli apprezzamenti (tantissimi, bontà vostra), né inacidirsi per le offese. Ovviamente, sarebbe grazioso ricevere critiche, anche decise, ma da detrattori educati, interessati a leggere per intero l’articolo e ad argomentare dialetticamente e sinteticamente sui contenuti. Sarebbe il sogno di ogni rubricante. Ma non si può pretendere tutto dalla vita.

Questa rubrica è seguita settimanalmente da migliaia di lettori (l’ultimo articolo, quello della scorsa settimana, ha superato i 6.000 lettori). E già solo il titolo e la cover dell’articolo (comprensiva del mio bel faccione) vengono intercettati ogni settimana da decine e decine di migliaia di “visualizzatori”, loro malgrado, in Sicilia (e persino nel Continente). Ergo, nei grandi numeri, per la legge delle probabilità, succede di beccare qualche maleducato vagamente incapsulato con l’autore e con la sua idea. Con inconsolabile rammarico di sua madre.

Come dobbiamo comportarci di fronte agli insulti personali e alle offese professionali degli squali da tastiera? Alcune persone decidono di perdere il loro tempo insultando, quando invece potrebbero benissimo limitarsi ad evitare legittimamente l’articolo. A quel punto noi possiamo scegliere di accettare tali parole “violente” o no.
Secondo la filosofia orientale, la strategia migliore per gestire gli hater è fare un savio e lungo respiro tibetano e ignorarli. Ma io non sono un maestro zen. Manco per niente. Pertanto, ritengo che spesso sia preferibile denunciare quello che si configura a tutti gli effetti come un reato. Molti “analfabeti funzionali” si illudono di poter fare qualsiasi cosa nel Far Web, come se anche nel Web non valessero le leggi. E ignorano le parole magiche “screenshot”, “avvocato”, “tribunale”, “risarcimento”. Sono queste le armi di difesa di chi viene insultato.

In due anni ho curato la mia collezione di screenshot e di consulti con il legale, riservandomi di agire quando riterrò. Credo che la denuncia (segnalazione alla Polizia Postale) e la querela riflettano uno spirito di civiltà. La battaglia deve essere fatta da ognuno di noi per tutti coloro (adolescenti, fragili, sensibili) i quali magari non hanno la struttura e la solidità necessarie a sopportare le offese e a reagire. La lotta al “cyberbullismo” dobbiamo quindi condurla tutti. Ogni giorno.

Ma chi è l’hater ragusano? Qual è l’identikit del leone da tastiera “babba”? L’ibleo a volte alterna dialetto siciliano e registro dantesco, esibisce un uso spericolato della consecutio, flirta coi congiuntivi solo in DAD, rigorosamente a distanza. Ma altrove è mediamente e socialmente erudito. Dei possibili tipi di hater, quello ibleo è più un provocatore occasionale ma professionista. È quello che, individuato il bersaglio, attacca a prescindere, senza nemmeno entrare troppo nel merito del discorso. Non si scatena costantemente. Sceglie le grandi occasioni. E quando va bene, legge i titoli degli articoli o dei post e poi scarica l’intestino, senza uno scopo costruttivo. E non usa un profilo anonimo. Non teme la realtà. Non la vede. Spesso non coglie l’ironia anche quando essa è evidente, legge (o fa finta di non comprendere) quello che gli altri scrivono (o dicono). È accecato dalla pulsio paglionis.

Più in generale, sul Web la consuetudine sta diventando quella della scarsa gentilezza (o malarucatio): a volte tutti rispondiamo in modo che sarebbe impensabile nel mondo reale. I social media hanno reso la persona sicura nel mancare di rispetto agli altri senza timore alcuno delle reazioni. La psicologia dell’hater tuttavia ci dice che, alla base del comportamento degli squali da tastiera, ci sono diverse ragioni, come insoddisfazione, gelosia, competizione, insicurezza profonda, e una bella costellazione di pregiudizi/bias cognitivi. Spesso l’hater si sente appagato se la persona/bersaglio è screditata pubblicamente.
Ma fortunatamente non tutti i bersagli fanno yoga e sono stati sette anni in Tibet. Non tutti subiscono. E alcuni al metodo educativo Osho preferiscono il modulo Montessori.

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