CAMPAGNE DI TERRORISMO E FALSIFICAZIONI

La scorsa settimana il Partito Comunista dei Lavoratori ha avuto il piacere di incontrare il nuovo sovrintendente ai beni culturali di Ragusa. A questo incontro ha partecipato, anche, il comitato  per il Parco degli Iblei. Eravamo molto ansiosi di discutere con i diretti interessati di Piano Paesistico. In questi mesi il Sindaco di Ragusa ha approntato una campagna di falsificazione e di terrorismo nei confronti del Piano e del Parco degli Iblei con l’intento di distruggere questi 2 strumenti che noi riteniamo indispensabili per il futuro del nostro territorio. Abbiamo gia’ visto cosa intende il nostro sindaco quando parla di ambiente: aree Peep, parcheggi, autorizzazioni a costruire ovunque,progetto di distruzione della vallata S.Leonardo, ecc..

Quello che piu’ ci indigna è il comportamento delle Associazioni di categoria (non tutte, per fortuna) che continuano a sottostare al nostro Sindaco. In piu’ ci indigna il mondo politico (quasi tutto) dal centro destra ormai ridotto a cortigiano del sindaco,al centro sinistra con il P.D. In testa che non riesce ad esprimere una posizione chiara e netta,forse piuttosto che pensare di battere il sindaco Dipasquale, alle prossime elezioni,alleandosi con l’M.P.A. Dovrebbe pensare di costruire un alternativa programmatica al centro destra.Ma sappiamo,purtroppo,che questo non avverra’ mai,ne’ dal P.D. Ne’ dai partiti e partitini satelliti di centro e di sinistra.

Nell’incontro abbiamo voluto sottolineare e confutare alcune affermazioni del sindaco Dipasquale, immaginiamo supportate da improbabili dati forniti da professionisti in mala fede. Ovvero che nelle zone di tutela 3 del Piano Paesistico, quelle soggette ai vincoli più restrittivi, insisterebbero alcune centinaia di aziende agricole che rischiano la chiusura a causa dei medesimi. Ebbene, il livello di tutela 3 comprende le seguenti aree: Riserva naturale “Pino d’Aleppo”, ovvero la valle dell’Ippari, e della foce dell’Irminio, già soggette a vincoli restrittivi che non verranno modificati.

Le aree del demanio regionale, comprendenti le zone rimboschite di Chiaramonte, Calaforno, Randello, varie cave (Misericordia, Volpe, Bussello e qualche altra) ecc., tutte zone dove già non si può costruire nè coltivare, in quanto vi sono ammessi solo interventi di manutenzione e recupero ambientale da parte del corpo forestale. Le aree soggette a vincolo idrogeologico (quelle entro i 300 metri dalle sponde dei corsi d’acqua), dove già non si può costruire per ovvi motivi di pericolo da alluvioni e instabilità del terreno, ma si può coltivare;

Alcune aree molto limitate ma di elevatissimo valore ambientale per la presenza di ecosistemi quasi intatti: SIC alto corso dell’Irminio e Cammarana (già vincolati), cava del Tellesimo, boschi di Monte Lauro, cava Randello, le quali evidentemente si vorrebbe distruggere, e noi, che vorremmo salvare gli ultimi miseri resti di natura esistenti in provincia di Ragusa, siamo ovviamente degli inguaribili e patetici romantici. E infine, cava d’Ispica con delle fasce coltivate circostanti, l’unica area agricola di dimensione significativa in zona 3, ma da qui a parlare di distruzione di centinaia di aziende ce ne corre.

Nelle altre aree soggette al Piano, dove i vincoli sono meno restrittivi, si può continuare a fare agricoltura come prima e realizzare impianti fotovoltaici finalizzati all’autoconsumo dell’agricoltore, e le uniche edificazioni ammesse sono quelle funzionali all’attività agricola (stalle, magazzini ecc.), norma che è stata da sempre in vigore nelle zone E (agricole) dei PRG, ma non è mai stata rispettata con la complicità di amministrazioni locali “distratte”. Viene prescritto di realizzare gli edifici agricoli usando criteri estetici coerenti con la nostra tradizione, che non comportano costi di molto superiori ai capannoni con cemento a vista e tetto di lamiera ondulata. Non è poi un così grande crimine imporre il rispetto del nostro paesaggio, e magari ai nostri massari, con delle strutture che si possono guardare, potrebbe funzionare anche qualche attività agrituristica.

Si è detto anche che il Piano Paesistico distruggerebbe la serricoltura, su cui campa un terzo della popolazione provinciale tra agricoltori e indotto. Peccato che la fascia serricola è quasi interamente fuori dal Piano, cioè in zona bianca, che la zona orticola vincolata più estesa, attorno alla valle dell’Ippari, ricade nel livello 1, quello con i vincoli più blandi, dove si possono realizzare serre, che si possono costruire anche in tutti i paesaggi locali del livello 2 (regime di vincolo intermedio) che sono vocati alla serricoltura (ad esempio paesaggi locali 9b e 9c vicino l’Irminio, ai sensi delle norme di attuazione del Piano), con la prescrizione di realizzare strutture facilmente smontabili, come infatti sono tutte le serre moderne in tubolari di ferro zincato.

Poi c’è la fascia costiera dei Macconi individuata dal Piano come area di recupero. Qui sono nate le prime serre in provincia, e allo stato attuale vi sono le aziende di minore superficie media della fascia trasformata, che conferiscono il loro prodotto per lo più al mercato ortofrutticolo di Vittoria, con in media sette passaggi di filiera dalla serra al carrello della spesa con relativo rincaro medio del 1000%, che si traduce non certo in prezzi astronomici dei pomodori al supermercato, ma in liquidazioni ridicole ai piccoli produttori, che infatti, come tutti sanno, producono ormai sotto costo e stanno chiudendo le loro aziende. E dunque, aumentando i terreni incolti e le serre abbandonate, non si pone appunto il problema del recupero di queste aree?

Non si capisce perché venga giudicata così ridicola la proposta della Soprintendenza di iniziare a integrare l’agricoltura con il turismo, visto anche che i Macconi sono una delle spiagge più belle e lunghe della Sicilia, compresa tra il parco archeologico di Caucana e la riserva naturale del biviere di Gela, a due passi dalle città barocche del Val di Noto. Magari i figli dei serricoltori vittoriesi, invece di emigrare, potrebbero gestire case vacanze, trovare impiego in alberghi, o forse sono lavori troppo umilianti rispetto a quello dell’imprenditore? La verità è che sono proprio i detrattori del Piano Paesistico quelli che vogliono ingessare il territorio, difendendo un modello economico vecchio se non cadavere. Ormai il pomodoro ce lo imitano benissimo anche in Marocco e in Cina con costi decisamente inferiori, mentre le nostre campagne, con le masserie, i muri a secco, i carrubi e le cave, sono uniche al mondo.

E se si continueranno a costruire in terreno agricolo seconde e terze case senza alcun ordine e criterio, a ricoprire le nostre “ciuse” con ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici, e a bucherellare i nostri altopiani per succhiare petrolio, siamo sicuri che i turisti avranno ancora tanto piacere a venirci a trovare? Illustri agronomi dicono che l’agricoltura si salverà col fotovoltaico. Il problema è che in queste immense superfici di terreno coperte da pannelli non si può coltivare (neanche in serre con tetti fotovoltaici, perché pomodori, melanzane e peperoni vogliono la massima luminosità possibile), e tutte le centrali che producono energia (termoelettriche, a biogas, a carbone, nucleari ecc.) non si possono classificare né come agricoltura né come servizi, ma come industria.

Quindi, invece di parlare di aiuto all’attività degli agricoltori, si parli più correttamente di rendite immobiliari a beneficio di proprietari di terreni sotto forma di affitti pagati da società industriali. Quale sia il modello più auspicabile per lo sviluppo del nostro territorio lo lasciamo alla sacrosanta libertà di valutazione di ognuno; noi siamo un partito politico e quindi faziosi per statuto, e stiamo dalla parte dell’agricoltura. Chiediamo solo che il Sindaco, le Associazioni di categoria, gli ordini professionali abbiano però almeno l’onestà intellettuale di chiamare le cose con il loro nome. (r.v.)

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it