È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
“BAMBOCCIONE” SARA’ LEI, CARO MINISTRO!
27 Dic 2013 04:36
Un grido di aiuto che non ha più voglia di rimanere in silenzio. Ha voglia di sbraitare, dimenarsi, ribellarsi, contestare. Non ha più voglia di illudersi, sperando che le cose cambino, come più volte promesso.
E’ la lettera anonima di “Uno di noi” (perchè in un altro modo non riuscirei a definirlo) che sta girando sul web in questi giorni e che ovviamente, rispecchiando a pieno i giovani, come me, ha attirato la mia attenzione.
Il soggetto in questione a cui è rivolta la lettera (che potrebbe anche essere un fake, ma che comunque rimane un pensiero comune ed un dato di fatto), è un ex ministro dell’Economia che ha invitato mamme e papà a mandare fuori casa i “bamboccioni”, ovvero quei figli che in età adulta preferiscono restare a vivere ancora sotto il tetto familiare. Il ministro ha inteso così promuovere la norma che prevede agevolazioni sugli affitti per i più giovani. Ma facciamo due conti in tasca ai così detti “bamboccioni”: per chi riesce a trovare un lavoro, il contratto ovviamente è a termine, l’affitto di un monolocale costa sempre troppo per chi non ha una sicurezza lavorativa di lunga durata, escludendo logicamente il costo dei mezzi, vitto e sfizi vari. Quindi, la domanda che sorge spontanea, é: dove vanno i bamboccioni, nonostante gli spiccioli elargiti dal governo sugli affitti, a recuperare la sussistenza perché non arrivano a fine mese?
Insomma, visto il lavoro sottopagato, il giovane pensa che vivere con i genitori sia almeno un risparmio sull’affitto e le bollette e penserebbe pure di reinvestire il denaro guadagnato in strumenti di lavoro, così da poter svolgere la libera professione.
Così facendo comincia a fare uno stage, progetti a termine o cose del genere, ovviamente non pagati o sottopagati, d’altronde gli dicono che è un periodo di crisi per tutti, che questa è la normalità. Non sta diventando troppo un pretesto, una scusa?
SFRUTTARE le nuove leve come precari derubandoli del loro futuro, di una famiglia e dal desiderio di avere dei figli.
D’altro canto, c’è da dire, sicuramente, che non abbiamo dubbi che esistano dei giovani che vivono comodamente sulle spalle dei genitori pretendendo solo diritti e svolgendo pochi doveri, e in questo la responsabilità è soprattutto di questi ultimi che, non solo glielo permettono, ma addirittura sono molte volte loro stessi (specialmente le madri) a “conservarli” nel tetto familiare.
Il 2013 è quasi giunto al termine ed i dati sono allarmanti: quattro giovani su dieci senza lavoro, il 38,7 % dei giovani. Un tempo il lavoro era un diritto per tutti; ora sembra sia un’utopia per molti. Ecco il paradosso di una Nazione che si dice fondata “sul lavoro”, come recita il primo articolo della Costituzione.
Questo dato ci invita a fare una considerazione in merito:
vivere nell’Italia di oggi, viverci da giovane, è indubbiamente un atto di coraggio. Se il rimanere fedele al Paese che ti ha partorito è un dovere, è pur vero che l’amarlo, oggi come oggi, è una sofferenza.
Noi giovani ci lanciamo verso il futuro, abbiamo speranze, progetti, ambizioni, siamo entusiasti: c’è chi li coltiva, sperando e c’è chi stanco ed affranto, se li lascia scivolare tra le dita. Ma in entrambi i casi otterremo, nella migliore delle ipotesi, la stessa cosa: nulla o poco più. Forse un lavoro precario, forse una laurea che non utilizzeremo mai, forse un posto provvisorio in attesa di un “qualcosa di migliore”.
Ascoltando i racconti dei nostri padri e nonni, sappiamo che vivere “da giovani” significava guardare l’orizzonte, perché è lì che si mira. Ma cosa fare se, continuando a navigare, la linea d’orizzonte non si scorge mai? Remare di più? E se si inizia ad essere stanchi di remare?
A 30 anni viviamo a casa, si. Ma vorremmo andarcene per avere i nostri spazi.
E prima di emettere inutili sentenze e farci sentire ancora più frustrati da questo mondo ingiusto, occorre sapere fino in fondo se ne abbiamo la possibilità, soprattutto economica che ci permette di scegliere di vivere liberamente. Bè, la risposta è no, cari ministri.
Ed adesso una domanda ve la facciamo noi: è giusto che i giovani disoccupati italiani non possono fare altro che restare a guardare la loro carriera frantumarsi in briciole , dopo anni di studio e sacrifici?
Una di loro.
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