Abusi in parrocchia: condannato prete, ma la vittima accusa il vescovo (modicano) di Piazza Armerina

La Corte d’Appello di Caltanissetta ha ridotto da 4 anni e 6 mesi a 3 anni la condanna a don Giuseppe Rugolo, sacerdote della diocesi di Piazza Armerina, già giudicato colpevole in primo grado per abusi sessuali su minore. All’indomani della sentenza, il vescovo della diocesi, monsignor Rosario Gisana, ha diramato una nota nella quale “rinnova vicinanza, sostegno e solidarietà alle vittime e all’intera comunità, provate da una vicenda che ha provocato e continua a provocare divisione e dolore”.

Un passaggio che, però, non convince la vittima che per prima ha avuto il coraggio di denunciare. L’archeologo Antonio Messina, infatti, contesta duramente il comportamento del vescovo:

“Quale vicinanza ha mostrato questo vescovo nei miei confronti? Non ha mai chiesto scusa per tutto quello che abbiamo sentito anche nelle intercettazioni. Che venga a dire la verità nel processo che deve affrontare per falsa testimonianza”.

Il nodo della credibilità e delle responsabilità ecclesiastiche

La diocesi, nella sua comunicazione ufficiale, ricorda di aver avviato da tempo un procedimento canonico nei confronti di Rugolo, conclusosi con una sentenza di condanna. E invita “chiunque abbia subito un abuso da parte di un sacerdote o di un laico che riveste un ufficio ecclesiastico a segnalare i fatti all’autorità civile competente”, sottolineando anche la disponibilità del Servizio diocesano tutela minori.

Ma proprio questo servizio viene messo in discussione da Messina, che sconsiglia ad altri di rivolgersi alla struttura interna della diocesi di Piazza Armerina:

“Ho seri dubbi che il procedimento canonico sia stato voluto direttamente da Gisana”.

Il ruolo della diocesi: aspetti giuridici ancora aperti

Sulla vicenda è intervenuta anche Eleanna Parasiliti Molica, legale della parte offesa, chiarendo la posizione della diocesi rispetto al processo penale.

“La diocesi non è stata scagionata in quanto non era parte del processo. Era stata citata la curia, che la Corte ha ritenuto non legittimata perché organo amministrativo. Ma la diocesi – precisa – potrà essere chiamata a rispondere in sede civile”.

L’avvocata ricorda anche che la sentenza d’appello non ha cancellato il giudizio severo dei giudici di primo grado nei confronti del vescovo Gisana:

“Nella sua testimonianza – sottolinea – non ha esitato a chiamare Rugolo ‘il nostro Rugolo’”.

Una ferita ancora aperta

Le parole istituzionali di vicinanza si scontrano, dunque, con la richiesta di verità e di giustizia da parte di chi ha vissuto il dramma in prima persona. Non bastano, secondo Messina, i gesti simbolici e le comunicazioni ufficiali. A pesare sono le mancate scuse, le presunte reticenze e una percezione di mancata trasparenza su tutta la vicenda.

Mentre la condanna penale a Rugolo è ormai definitiva, resta ancora aperta la questione della responsabilità morale ed eventualmente civile della diocesi. E si attendono sviluppi anche sul procedimento per falsa testimonianza che coinvolge il vescovo Gisana.

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