A Modica i 5 anni della Fondazione Val di Noto

“*Il lavoro che fa il Terzo settore è la premessa dello sviluppo economico. Quello che state facendo non pensate che sia un’incursione nel recinto delle anime belle. È una cosa utile, riconosce diritti negati ai soggetti più deboli. Ma questa è la molla iniziale. Con quello che fate vi impegnate per la costruzione di una comunità, e la costruzione di una comunità è un mettere le basi dello sviluppo economico. La comunità è cambiamento: siete qui per cambiare Modica, per cambiare il Val di Noto. Non solo per occuparvi dei poveri, per mettere le pezze a ciò che non va nel Val di Noto. Voi siete qui per costruire comunità. E voi siete sulla buona strada”.*

Con queste parole il *presidente della Fondazione CON IL SUD, Carlo Borgomeo,* ha concluso ieri sera il suo intervento alla Domus Sancti Petri, a Modica, nell’ambito del momento celebrativo per i cinque anni di vita della Fondazione di comunità Val di Noto. Oltre due ore di intenso dialogo, con il sociologo Aldo Bonomi, Salvatore Rizzo di Ecos-Med Messina, e le conclusioni di Maurilio Assenza, presidente della Fondazione Val di Noto. A introdurre il momento al quale hanno preso parte docenti, giornalisti, operatori e volontari delle varie realtà della Fondazione, sono stati gli studenti che hanno partecipato al percorso su ‘Cittadinanza e costituzione’. Gabriele e Vanessa, in rappresentanza dei tanti studenti presenti in una sala affollatissima, hanno posto una serie di spunti ripresi dal presidente Borgomeo. Tema del dialogo: ‘Un futuro possibile per le nostre città’. Partendo dalla comunità, tema sul quale tutti i relatori hanno offerto riflessioni e input positivi.

Ripensando ai primi cinque anni di vita della Fondazione di comunità Val di Noto, Borgomeo ha chiarito: *“Le cose sono solide e durature se sono dei territori che le vogliono. Nessuno ha promesso, cinque anni fa, che sarebbe cambiato tutto. Chi vi dice che cambia tutto in tre anni *– ha detto rivolgendosi in particolar modo ai giovani – *vi prende in giro, le cose cambiano bene se cambiano bene lentamente e nella coscienza della gente. La Fondazione di comunità sarà fortissima tra 30 anni e ci si ricorderà che un gruppo di persone ha iniziato coraggiosamente questo cammino”. *Un’azione duplice quella che compiono le Fondazioni di comunità: *“Primo, educare le persone di quel territorio alla cultura del dono. Secondo, realizzare una serie di progetti nel sociale e nel culturale con l’obiettivo di rendere più forte la comunità”. *Un’azione che si muove in un contesto globale in cui emerge chiaramente che *“qualcosa che non funziona”. “Questo sistema –* ha chiarito -* che fa aumentare la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri. Tutto congiura per educarci alla cultura dello scambio, non del dono, qui invece si dona. Ma che te ne viene, ci si può sentire dire. So che la somma di tanti comportamenti di persone che donano ha la forza di cambiare la mia comunità in positivo”.* Occorre, dunque, promuovere “fiducia” e “accoglienza”: su questi valori si costruisce comunità, e costruendo comunità si pongono le basi per lo sviluppo dei territori. Sul tema delle diseguaglianze si è mosso l’intervento di *Salvatore Rizzo*, partendo da esperienze concrete, nel Messinese, dove opera da molti anni, con particolare attenzione al campo educativo.* “Non è vero, spesso, che non ci sono soldi. In alcuni casi vi sono tanti finanziamenti, ma non vengono spesi per il bene del bambino. Ma va ricordato che investire in educazione non significa essere buoni, significa immaginare lo sviluppo di un Paese”. *E ha aggiunto: *“In Italia c’è il problema delle migrazioni. Ma riguarda i 300.000 italiani che ogni anno si trasferiscono all’estero: sono un investimento che abbiamo perso. Per ciascuno di loro abbiamo investito, qualche volta male, ma abbiamo investito. Di quei 300.000 che vanno via, i laureati sono quasi il 35%, e il 39% i diplomati”.*

E poi un invito a riconoscere i “dispositivi di esclusione”, che sono *“funzionali al paradigma di sviluppo economico che struttura diseguaglianze, alimentando quei meccanismi che consentono ai pochi ricchi di essere sempre più ricchi”. *Riconoscere, quindi, ma come primo momento. Il secondo: *“Lavorare per ricostruire contesti inclusivi. Il nostro compito, quello del Terzo settore, è quello di cominciare a invadere campi altrui, cominciare a occuparci di economia, sviluppo locale. Non perché noi dobbiamo diventare maggioranza, ma perché siamo un segno che è possibile pensare e operare economie che siano capaci di includere. Come il Laboratorio don Puglisi o cooperative che impiegano quanti sono usciti da un ospedale giudiziario”.* In questo percorso, l’aspetto educativo è fondamentale. *“Occorre sostenere *– ha detto Rizzo -* l’agire educativo diffuso. Il nostro lavoro, il lavoro dei cantieri educativi, non deve essere visto come una delega: fortuna che loro si occupano dei bambini e noi di ci occupiamo delle cose serie. No, noi ci occupiamo dei bambini, soprattutto quelli più fragili, perché tutti comincino a occuparsi di questo: il quartiere, l’amministrazione comunale”.*

Il sociologo *Aldo Bonomi* ha ribadito due temi già espressi nel corso dell’incontro che si era tenuto di mattina, a Villa Polara: *“Fare comunità significa stare dentro i processi di sviluppo. Fare comunità è un’operazione pre-economica, funzionale a creare elementi fondamentali per lo sviluppo e il lavoro. Non è un’operazione di buoni sentimenti, ma mette insieme il senso e gli interessi. Gli interessi senza il senso della comunità fanno solo gli interessi di chi ha in mano gli interessi. La creazione di senso è fondamentale per rapportarsi agli interessi”.* E ha aggiunto: *“Occorre ragionare per un modello di sviluppo di benessere equo, sostenibile e solidale”. *Un’esortazione in tema di comunicazione: in un epoca dominata dallo storytelling e dalla community, riscoprire il ruolo della comunità, “che significa prossimità”. *“Ritornare al racconto. Gli esempi di ricucitura sociali diventano obiettivi e pratiche di sviluppo possibile” -* ha detto prendendo spunto dal video proiettato in sala, che racconta storie di vita all’interno degli 85 progetti sostenuti dalla Fondazione di Comunità Val di Noto in questi cinque anni, con finanziamenti per oltre due milioni di euro.
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