SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO: IL RUOLO DELLA DIETA

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è uno dei disturbi più comuni nelle donne in età fertile, e rappresenta la causa più frequente di infertilità dovuta ad anovularità cronica. La PCOs è una sindrome complessa, caratterizzata da ovaie ingrandite e micropolicistiche, e da alterazioni endocrinologiche che comprendono la triade irregolarità mestruali (80% – oligomenorrea, amenorrea, infertilità); iperandrogenismo (60% – irsutismo, acne, alopecia); iperinsulinismo e obesità (50%).

A questo, si associano disturbi metabolici, dei quali i più frequenti sono: intolleranza glucidica, diabete mellito, dislipidemie, ipertensione e aumentato rischio cardiovascolare.

 

Per la diagnosi certa, però, non basta che vi sia uno solo dei sintomi, e occorre sempre la conferma del medico, che dovrà escludere altre patologie potenzialmente responsabili di tali manifestazioni. Inoltre, bisogna precisare che esiste una grossa variabilità di sintomi tra una donna e l’altra: si va da condizioni poco sintomatiche, con sole alterazioni del ciclo mestruale, sino a situazioni più complesse, caratterizzate dalla comparsa contemporanea di amenorrea, irsutismo, insulino-resistenza e/o obesità, che si traducono in un concreto peggioramento della qualità di vita.

 

La PCOs colpisce soprattutto la popolazione mediterranea di razza bianca (5-10%), esordendo spesso nel periodo adolescenziale con le irregolarità mestruali, oppure in età perimenopausale con le disfunzioni metaboliche. Esiste, inoltre, un disturbo simile, caratterizzato da ovaie microcistiche e disturbi del ciclo, ma si tratta di una disfunzione più lieve e non va confusa con la PCOs che, invece, coinvolge ipotalamo, ipofisi, ovaie, surreni e tessuto adiposo. Nonostante non sia ancora chiaro l’evento patogenetico che innesca la disfunzione, il risultato finale è dovuto a una serie di meccanismi che, una volta avviati, si alimentano reciprocamente, generando un vero e proprio circolo vizioso. In pratica, l’iperandrogenismo causa un’eccessiva produzione di estrone e, di conseguenza, iperproduzione di LH, determinando, così, un incremento nel rapporto LH/FSH che causa il blocco dell’ovulazione. Parallelamente, l’iperproduzione di androgeni amplifica il circolo vizioso.

 

La terapia, nella quasi totalità dei casi, prevede l’uso di una pillola estroprogestinica, il cui scopo principale è quello di regolare il ciclo mestruale “mettendo a bada” i capricci delle ovaie. Si tratta, però, di una terapia che cura il sintomo (e non sempre con successo), ma non eradica la causa. Nella maggior parte dei casi, inoltre, è molto utile affiancare un calo ponderale, che deve avvenire in modo costante e graduale (circa 0,5 kg/settimana), per potersi tradurre nella riduzione dell’iperinsulinemia e del testosterone, e favorire quindi la regolarizzazione dei cicli, come accade nel 40-50% dei casi. Si è visto, infatti, che la ripresa della ciclicità mestruale è più frequente se alla terapia farmacologia si associa una buona perdita di peso. La dietoterapia, quindi, deve essere parte dell’approccio terapeutico sin dall’inizio.

 

C’è, però, chi sostiene che qualsiasi correzione alimentare sia inutile se si continua ad assumere l’estroprogestinico, poiché, nonostante durante l’assunzione del farmaco le cisti ovariche regrediscano in modo consistente, si tratta comunque di un ciclo indotto e artificiale (necessariamente anovulatorio), sul quale non è possibile influire in modo naturale. Alla sospensione della pillola, in questi casi, segue il repentino ritorno alla condizione di amenorrea (o quasi), e l’organismo deve essere nuovamente “rieducato” dal punto di vista alimentare – e ormonale – per poter ottenere una nuova risposta metabolica. Vediamo, quindi, in cosa consiste l’alimentazione ideale per chi soffre di PCOs, e un possibile integratore da affiancare alla dieta.

 

La parola d’ordine è “dieta a basso carico glicemico” (e di questi concetti ho già parlato in precedenti articoli, dei quali allego i link), perché questo è l’unico modo per prevenire e/o curare l’insorgenza di insulino-resistenza e, quindi, iperinsulinemia. In altri termini, più si adotta una dieta ricca di zuccheri, carboidrati raffinati (alias versioni “bianche” dei cereali) e altri cibi ad alto indice glicemico (IG), peggio è per un organismo già penalizzato in termini di corretta metabolizzazione dei carboidrati, quale quello delle donne affette da PCOs.

Come si fa a ridurre il carico glicemico (CG)? Non è poi così difficile. In primis, occorre aumentare il consumo di cereali integrali in chicchi e cereali minori, sostituendoli a pasta, riso e pane, anche se bisogna tenere presente che il riso induce comunque una risposta glicemica superiore a quella della pasta, così come che tra pasta/pane normale e pasta/pane integrale c’è uno scarto irrisorio di IG. Per questi motivi, è comunque consigliabile ridurre il consumo di questi alimenti, in favore di altri a minor IG, quali grano saraceno, quinoa, amaranto, miglio, farro integrale e pane nero di segale. Inoltre, quando si mangia la pasta, è fondamentale cuocerla al dente, e al pane fresco e ricco di mollica va preferito quello tostato e/o con poca mollica, perché il calore ne inattiva i lieviti in eccesso, rendendolo più digeribile (e questo consiglio vale per tutti!), oltre che abbassandone lievemente l’IG. In alternativa, si può anche congelarlo e poi farne delle bruschette, o optare per le friselle a base di farina d’ozo o integrale.

 

Non è tutto: occorre SEMPRE associare la verdura (fonte di fibra) e una fonte proteica e/o lipidica a un pasto a base di carboidrati o, ancora meglio, far sì che la quota di carboidrati rappresenti la componente minore del pasto. Questo perché fibra, proteine e grassi sono tutti nutrienti che abbassano il carico glicemico. Qualche esempio? Mangiare un piatto di spaghetti al pomodoro e basta è molto peggio rispetto allo stesso piatto condito con olio extravergine e parmigiano, e rigorosamente accompagnato (o, ancor meglio, preceduto) da un contorno di verdura crude; altri abbinamenti ottimali potrebbero essere: farro e ceci o farro e lenticchie con cime di broccoletti; insalata greca con cetrioli, olive, feta e pane tostato; vellutata di zucca o piselli con quinoa o grano saraceno e noci, etc.

 

Per quanto riguarda la frutta, l’indice glicemico è abbastanza variabile: senz’altro 5 fichi o 2 banane avranno un IG doppio rispetto a una pera o a 200 grammi di fragole. Occorre, inoltre, è bene fare attenzione al grado di maturazione (più un frutto è maturo, più zucchero veicola) e a non eccedere con la porzione, per non aumentare il CG! È poi meglio consumarla con la buccia (ben lavata) e mai frullata, perché l’eliminazione delle fibre aumenta notevolmente la velocità con cui gli zuccheri passano nel sangue (alias impatto glicemico).

 

In generale, comunque, è bene non esagerare con le quantità… una piccola porzione di pasta è meglio rispetto a una porzione enorme di orzo o grano saraceno! E la regola vale anche per i secondi, soprattutto sei si tratta di latticini, i quali, pur avendo un basso IG, sono caratterizzati da un elevato indice insulinemico: esercitano, cioè, un forte stimolo alla secrezione di insulina a prescindere dal contenuto glucidico, e vanno pertanto consumati con moderazione.

 

Infine, i dolci: sono senza dubbio da riservare alle occasioni, visto l’elevatissimo contenuto di zuccheri e farina (carboidrato semplice + carboidrato complesso = un’impennata dell’IG). C’è da dire, però, che l’impatto glicemico – e insulinemico – dei dolci dipende più dagli ingredienti che dalle calorie, e ho già citato l’esempio del gelato alla crema,  il quale avrà un’IG minore rispetto a un cono tutto alla frutta, fatto di solo zucchero (zucchero dalla frutta e zucchero aggiunto) e acqua.

 

Ricapitolando, l’ideale sarebbe fare un’abbondante colazione, che includa una fonte di carboidrati sia complessi (pane tostato a lievitazione naturale, pane di segale, fiocchi d’avena) sia semplici (miele biologico o un frutto fresco di stagione), una fonte di proteine (yogurt greco, prosciutto crudo o altri affettati DOP/senza nitriti né nitrati, uova, salmone affumicato o tonno/sgombro in scatola di ottima qualità), e una piccola componente di grassi (frutta secca, semi oleaginosi o un velo di burro di centrifuga). Il pranzo può comprendere una piccola fonte di carboidrati a basso IG, con legumi o un’altra fonte proteica animale (pesce, uova, carne), abbondante verdura e olio extravergine. La cena, invece, dev’essere molto leggera e a basso CG: via libera, quindi, a verdura e proteine, sempre con olio e.v.o.. Ovviamente, anche in questo caso è concesso “sgarrare”, senza però superare il 15-20% di “sgarro” rispetto all’alimentazione di routine.

 

Infine, due parole sull’inositolo: non è una formula magica, bensì un elemento la cui carenza è collegata all’insulino-resistenza, e la cui supplementazione sembra favorire il ritorno dell’ovulazione, del ciclo mestruale e della fertilità. A livello preclinico, infatti, questa molecola è stata testata in diversi modelli sperimentali, dai quali è emerso che il myo-inositolo, la forma isomerica più attiva (insieme al D-chiro-inositolo), in dosi di 2-4 g al giorno, ha un effetto benefico per la salute ovarica, senza alcun effetto collaterale. A oggi, il trattamento con il myo-inositolo in donne affette da PCOs è adottato in più di 36 Paesi.

 

Quasi dimenticavo! Una regolare attività fisica, costante ma non eccessiva, è un altro alleato importante per migliorare la risposta insulinica, da affiancare alla dietoterapia e all’eventuale terapia farmacologica.

 

 

 

di Wanda Rizza

 

 

http://www.ragusaoggi.it/43872/l-importanza-dell-indice-glicemico-nella-scelta-degli-alimenti

 

http://www.ragusaoggi.it/44754/tutti-i-prodotti-integrali-sono-davvero-integrali

 

http://ragusaoggi.it/54065/report-sul-diabete-ii-parte

 

 

 

 

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