SFIGMO E FONENDO

In un recente convegno “La Medicina di urgenza tra mente e corpo”, alla presenza del Ministro Balduzzi si è discusso dei problemi dei PS Italiani, i cui accessi sono sempre troppo numerosi e con una permanenza sempre più lunga, con prestazioni sempre più costose (TAC e RMN su tutte). I passaggi negli ultimi 20 anni sono raddoppiati, ma nel  75% dei casi all’accesso in PS segue la dimissione, soprattutto per il taglio di 45.000 posti letti tra il 2000 e il 2009.

Secondo il Ministro il problema è nella filiera della salute cioè nelle cure sul territorio, in Ospedale e nei servizi di lungodegenza; le attese in PS possono anche andare oltre le 48 ore ove comunque, pur nel disagio della osservazione breve, il paziente riceve comunque le cure del caso.

L’estate acuisce il problema, anche per il ridimensionamento di alcuni reparti, ma aldilà dei problemi contingenti estivi, la razionalizzazione della rete Ospedaliera non è stata accompagnata dalla presenza reale sul territorio di strutture alternative, quali appunto le lungodegenze, gli ospedali di Comunità e una vera continua, costante presenza degli operatori nel territorio. Ci sono molti esempi di queste realtà in diverse Regioni Italiane, ma queste presenze e queste realizzazioni devono essere strutturate, normate e previste in tutto il nostro Territorio se si vuole per davvero avere una soluzione “strutturata” al problema.

L’accesso al PS avviene per lo più spontaneamente, mentre solo nel 12% dei casi il paziente viene accompagnato dal 118; pensate che in Veneto ed in Piemonte oltre il 40% dei Cittadini nel 2011 è stato visitato in PS.

Secondo una indagine attuale solo il 21% dei cittadini passa dal proprio medico prima di accedere al PS.

Al problema dell’accesso in PS segue spesso quello delle dimissioni, in quanto dopo la stabilizzazione, hanno detto gli esperti al Convegno, è difficile trovare soluzioni residenziali sul territorio (ci si riferisce sempre alle lungodegenze ed alle RSA).

E’ stato anche posto il problema dei professionisti dell’emergenza, effettivamente caricati di turni e stress psico-fisico, anche per il blocco delle assunzioni e del turn-over e delle scuole di specializzazione in medicina di emergenza-urgenza, che hanno pochi posti per i giovani Medici specialisti in relazione alle effettive necessità delle strutture.

Tra le soluzioni, si è detto, non vi è tanto quella di creare nuovi servizi territoriali di emergenza, quanto quella di organizzare la Medicina del Territorio secondo il Modello della cosiddetta Medicina di iniziativa che mira alla prevenzione ed al miglioramento della gestione delle malattie croniche, per prevenirne le riacutizzazioni e quindi il ricorso al PS.

E qui come si dice in dialetto “cari u sceccu” perchè ci vogliono le risorse, quelle risorse che dovrebbero derivare proprio dalla “razionalizzazione degli Ospedali”, la qualcosa nessuno dalle Comunità Cittadine agli Operatori del settore,dalla Politica alle OO.SS., vuole in concreta realtà fare.

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