Riportiamo a casa degli incivili i divani lasciati sulle strade iblee

Bled è una nota località turistica slovena. Ha 8mila abitanti e altrettanti posti letto, perché meta di oltre un milione di visitatori. E’ stata la prima in Europa, insieme all’altra città slovena di Gorje, a incassare due anni fa la certificazione “Zero waste cities-Mission zero academy” (Comuni a rifiuti zero).

La raccolta dei rifiuti è affidata a una società pubblica, la Infrastruktura, il cui motto è “Paghi per tutto quello che butti”. Nei contenitori, ovviamente differenziati, c’è un microchip che quantifica il pattume depositato da ogni cittadino che lo produce. Per scoraggiare i pochi indisciplinati, sono state piazzate telecamere in alcune isole ecologiche, mentre i camion di raccolta della spazzatura recano invitanti scritte sulle fiancate: “Non compriamo frutta in sacchetti di plastica” o “Usate batterie ricaricabili”. I consigli sono perfino in bolletta: “Evitate gli acquisti compulsivi”. Gli operatori ecologici hanno anche il ruolo di ispettori.
C’è inoltre un laboratorio dove portare a riparare i piccoli elettrodomestici, dando loro una seconda vita. Negli hotel è possibile comprare prodotti alimentari sfusi, i rifiuti sono pesati e in camera la separazione è un obbligo per gli ospiti. La quota della differenziata è dell’85% e mira ad aumentare.
In città hanno sistemato le fontanelle pubbliche, alcune delle quali gratuite, per evitare l’ulteriore acquisto di bottigliette d’acqua.

Con la siccità in atto, quest’ultima misura da noi apparirebbe la più difficile da attuare, però i nostri amministratori comunali potrebbero andare in missione a Bled o a Gorje e copiare le idee che ancora mancano nel territorio.
Nel ragusano la raccolta dei rifiuti è migliorata, ma migliorabile. Ragusa differenzia il 70%, Modica ha ottenuto a inizio anno un riconoscimento come comune che si sta impegnando nella raccolta della plastica, le nostre città sono mediamente pulite, tranne nelle zone in cui agiscono ripetutamente vandali e maleducati. Resta la piaga delle discariche abusive, diminuite a suon di sanzioni, e delle inquinanti “fumarole”:  protocolli e controlli non riescono a fare smettere la becera pratica di bruciare la plastica dismessa dalle serre agricole.

Non siamo in Valle d’Aosta o in Alto Adige, ma neanche nella situazione che una famiglia emigrata al Nord confessò candidamente circa vent’anni fa in una lettera al Giornale di Scicli: quelle settimane trascorse lungo il litorale erano anche una vacanza dallo stress di dovere separare i rifiuti durante il resto dell’anno nel comune di residenza. In Sicilia erano ancora gli anni del “tutto nel grande bidone”.

L’appartenenza a una comunità passa dalla consapevolezza che le strade, le piazze, i muri, i giardini sono di tutti. Se qualcuno non paga la bolletta dei rifiuti nei tempi dovuti, appicca il fuoco ai rivestimenti nei campi o insozza strade di campagna spargendo ingombranti e resti di laterizi, lo fa a spese degli altri. Che non sono fessi: si chiamano cittadini.
Ben vengano repressione e recupero dei crediti nei casi di volontario inadempimento.

Simbolico quanto successo mesi fa a Romano di Lombardia, nel Bergamasco. La polizia municipale ha scaricato davanti alla casa di un tizio i due divani che egli aveva lasciato in brutta mostra, qualche notte prima, nella periferia del paese. In allegato alla sgangherata mobilia, gli agenti hanno notificato una contravvenzione di 10mila euro. Un video ironico sull’operazione ha fatto il giro del web.
Diecimila euro di sanzione e restituzione di quanto lasciato: agendo così, nessuno si azzarderebbe a creare discariche abusive.

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