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POLITICA E CULTURA
13 Dic 2014 15:23
L’handicap della politica, a dire il vero non di tutta la politica, è quello di considerare la cultura elitaria nel contesto sociale, in riferimento a quelli che ne sono gli attori principali
Senza cultura non c’è neanche politica, senza storia non ci sarebbero neanche i partiti, discutibili ma esistenti.
La cultura viene vista come un abbellimento, non come un fatto essenziale della politica stessa.
Si crede che la politica sia quella attuale e solo pochi politici capiscono, come gli studenti quando sono motivati allo studio, che la politica non è solo il fatto contingente di oggi e che, se si vuole fare vera politica, la si deve interpretare come vaso comunicante con la cultura.
Questo significa che non si può far politica senza storia, non occorre avere una o più lauree, serve conoscere, capire gli uomini, saper ascoltare e capire la realtà alla luce del passato.
Ma non significa essere l’elite, serve solo a creare i presupposti per persone consapevoli, non sfruttabili dal sistema. Purtroppo, invece, si è assistito, e si assiste, ad una politica basata sulla furbizia, che è degenerazione dell’intelligenza, per cui facile è assistere a sterili polemiche come nella storia di Renzo, nel famoso e apprezzato romanzo popolare dei Promessi Sposi, invece di assistere a confronti intelligenti, democratici, senza prevaricazioni, dove competitività va di pari passo con la collaborazione.
Quanto detto, vuole solo esplicare che il concetto di popolare ha una storia ed è anche democrazia partecipativa, consapevole, senza tesi precostituite.
L’opinione, così, è solo un diritto acquisito della persona in un sistema democratico.
Il limite dei partiti è proprio questo: alcuni decidono, altri servono e devono essere convinti.
La gente, il popolo, oggi istruito, alfabetizzato, non cade più nelle maglie di chi dice “Io sono”, “Io dico la verità”, ma vuole il noi partecipiamo, noi parliamo, noi ti riconosciamo, ci piace che “Tu, prescelto” ci rappresenti, ascoltando, coordinando, una volta che ci piaci come persona.
I partiti, invece, decidono senza coinvolgere, ma secondo il principio della servitù della gleba, superata anche con la Rivoluzioni russe, cinesi e nazional democratiche del Novecento.
Il popolo ha capito il gioco della politica e non è più propenso a subire questo sistema. I partiti in crisi, per l’opera di molti movimenti, sono in discussione e cercano, disperatamente, di risolvere il problema, per non rimanere ingessati.
La parola popolare, quindi, bisogna intenderla in senso ampio, e la politica la deve mettere in campo con azioni vere, senza lotte strumentali e strumentalizzazioni delle lotte.
Fare politica con la P maiuscola, ad esempio, è confronto di idee, tesi in fieri, non polemiche dello stile dei polli di Renzo, come è stato detto.
I tempi sono lunghi, ma non miopi.
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