NON C’E’ DUE SENZA TRE

La legge elettorale alla quale è stato impresso un iter legislativo molto rapido di certo sarà approvata dalle camere e con tale risultato il segretario del pd potrà sbandierare ai quattro venti che solo con il suo “Adesso” è stato possibile mettere la parola fine al tanto deprecato porcellum da tutti nella sostanza voluto ma a parole sempre deprecato. L’approvazione di questa nuova legge che la generalità dei cittadini elettori vuole e pretende che tale sia, non incontra una totalità di consensi da parte dei partiti minori che rappresentano delle motivazioni che come avviene in ogni tipo di proposta contiene aspetti positivi e negativi. Del resto ogni riforma di qualunque genere possa essere contiene sempre aspetti positivi e negativi. Tutto sta a vedere se la loro incidenza supera abbondantemente l’aspetto positivi o negativo.

L’approvazione della nuova legge, però, costituirà solo la prima delle tre modifiche ritenute come essenziali per ristabilire un certo ordine di funzionalità democratica ed operativa compromesso, secondo la tesi del suo autore, dal bicameralismo perfetto e dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Mentre per la legge elettorale un schema di accordo è intercorso fra i due maggiori partiti, non è dato rinvenire altrettanta determinazione per quanto riguarda le altre due riforme per le quali, a differenza della legge elettorale, deve seguirsi un iter legislativo che a ad andare bene richiederà un anno di tempo. In questo frangente, non delineata nei suoi contorni appare la figura del governo Letta che deve svolgere il suo programma da una parte con Fi che ha ritenuto di passare all’opposizione e dall’altra con un nuovo renzionato Pd che ufficialmente lo deve sostenere ma che dall’altro non intende farne operativamente parte.

Nella normalità dei  casi e secondo precedenti esperienze un governo se non piace specie al partito di cui è massima espressione si seguono due strade: chiederne il rimpasto o le dimissioni.

Il segretario del pd non pare che voglia percorrere la prima o la seconda strada. Il governo, però, dovrà essere chiamato, fra le altre doverose incombenze, a dar vita e efficacia istituzionale alla modifica del Titolo V e all’eliminazione del Senato come seconda camera ed intestagli altre funzioni del tutto diverse da quelle in atto svolte. Sono queste previste  modifiche molto più articolate e complesse del varo della legge elettorale e ciò per complessi impedimenti o per la rappresentazione di schemi operativi diversi non è affatto improbabile che si possono verificare.

Per la modifica del Titolo V introdotta nel 2001 dovrebbe ripristinarsi il potere legislativo statale che per alcune materie è stato trasferito alle regioni e in parte agli enti locali. Ritornare al punto di partenza non è né semplice e nè tanto meno opportuno. Potrà magari tentarsi una via mediana, ma non può non risultare chiaro che modifiche di tanto elevato spessore necessitano di studi approfonditi, soluzioni mediane e convergenze politiche maggioritarie, ciò comportando l’utilizzo di tempi obiettivamente necessari specie in considerazione di modifiche di così alto livello.

L’altra modifica diretta ad eliminare il bicameralismo perfetto non è più semplice della prima.

Le ragioni sottese alla modifica non possono essere date, secondo una tesi non priva di fondamento, solo dal fatto che si impiega molto tempo per il varo definitivo di una legge dovendo essere approvata dai due rami del Parlamento. Le società moderne ovviamente sono più modificabili rispetto al passato, ma questo non dovrebbe essere l’unico fondamentale motivo. Perchè  – è solo un’ipotesi – non affidare alle due camere poteri legislativi diversi raggiungendosi in tal modo l’obiettivo di vedere approvate, senza doppia votazione,  due leggi nello stesso periodo temporale.

La riduzione della spesa pubblica, per la parte qui di ragione,  non può rappresentare l’unico determinante motivo posto a base della modifica, anche se è ben vero che nel funzionamento dei servizi annessi alle due camere vi sono, come ci hanno fatto vedere in tante programmi televisivi, delle spese obiettivamente superflue. Allo stesso modo non appare comprensibile e giustificabile che i dipendenti delle due camere devono godere di un trattamento retributivo più elevato e quindi non comprensibile rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici.

Dovrebbe quindi risultare evidente che le due previste riforme abbisognano di un considerevole periodo di tempo che potrà non avere la sua incidenza sull’attuale governo. 

L’abolizione del Senato per sostituirlo con la camera delle autonomie della quale dovrebbero far parte, fra l’altro, i presidenti delle regioni e i sindaci delle maggiori città senza la corresponsione di emolumenti  al fine di ridurre la spesa pubblica dovrebbe, in prima istanza, essere approvata dagli stessi membri che in atto lo compongono e non è fantascientifico prevedere l’insorgenza di tante discussioni e polemiche che non avendo un termine entro il quale un decisione definitiva dovrebbe essere assunta è ragionevole ritenere che del tempo ne passerà.

E in questo quadro così poco rassicurante continueranno a recitare i rappresentanti dei partiti, nessuno escluso, con le loro dichiarazioni generiche e indifferenziate senza mai scendere nel particolare dei problemi che fingono di affrontare.

Sempre in questo quadro secondo le previsioni degli istituti di statistica  aumenterà la disoccupazione, un maggior numero di famiglie riuscirà appena ad affrontare le spese necessarie per un’esistenza  lontano dalla decenza. La disoccupazione giovanile non accenna a diminuire influenzata anche dalla delocalizzazione di imprese che in un libero marcato ritengono di posizionarsi fuori dai confini nazionali, specie per i vincoli finanziari che di detta l’Europa nel cui perimetro geografico risultiamo assimilabili ad una  sua provincia.

Anche questo aspetto necessiterebbe di un adeguamento temporale rispetto al passato, quando, cioè, si è ritenuto di farvi parte. Non si tratta evidentemente, come da qualche parte si sostiene, di rivendicare un’autonomia nazionale per tutta una serie di implicanze connesse. Qualche aggiustamento, però, potrebbe avviarsi (e non ultimo) quello della promanazione di norme intese ad uniformare secondo scadenze temporali certe un’uniformità di legislazione fiscale. Ma questo è tutt’altro discorso.

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