NECESSARIO UN MODELLO ALTERNATIVO DI TRASPORTO

Siamo alla vigilia della “marcia lenta” per il raddoppio della Ragusa-Catania, che vede mobilitati amministratori, deputati, sindacalisti; si è costituito un comitato ristretto, si è parlato di “cabina di regia”, sono state messe in atto pressioni su Lombardo, su Tremonti. Insomma: questa volta si fa sul serio.

La CUB Trasporti, pur comprendendo l’importanza del miglioramento della mobilità tra la provincia d Ragusa e il capoluogo etneo, rileva alcune incongruenze in questa mobilitazione:

–         Il futuro dell’automobile marcia spedito verso il suo declino, e i costi dei carburanti scoraggiano l’uso del mezzo privato; tuttavia non assistiamo ad una politica di rilancio dei mezzi pubblici e dei trasporti collettivi quale soluzione lungimirante ed economicamente valida.

–         L’inquinamento provocato dagli autoveicoli, e in particolare dai mezzi pesanti, sembra essere stato cancellato dai parametri utili a valutare la convenienza di scelte come la costruzione di un’autostrada o di qualcosa di simile, come dovrebbe essere la Ragusa-Catania (a quattro corsie e a pagamento).

–         Uno dei problemi che hanno reso pericolosa la viabilità tra Ragusa e Catania è dato dal traffico dei tir e dei mezzi pesanti in generale. Anziché cercare soluzioni per ridurre tale tipo di trasporto, si cerca di allargare la strada.

Nel nostro territorio fino a pochi anni fa erano in funzione 8 stazioni ferroviarie, con altrettanti scali merci. Una fetta importante dell’economia iblea ruotava attorno a queste infrastrutture, dove migliaia di tonnellate di prodotti agricoli, industriali, commerciali, venivano caricati e scaricati quotidianamente. Centinaia di aziende ruotavano attorno al comparto ferroviario. Progressivamente tutto questo è stato smantellato. La politica del carciofo ha azzerato gli scali merci, chiuse le stazioni, fatto praticamente sparire la ferrovia dal territorio ibleo, dove ora transitano pochissime “littorine” e solo nei giorni feriali.

Solo quando i ferrovieri, con i loro sindacati, hanno lanciato appelli alla mobilitazione contro i tagli, alcuni (pochi) tra i politici e gli amministratori hanno risposto, salvo tornarsene quasi tutti agli affari loro qualche giorno dopo.

L’intensità delle pressioni cui stiamo assistendo in tema di Ragusa-Catania non c’è mai stata in tema di ferrovie. Quando, alcuni anni fa, organizzammo la marcia a piedi da Modica a Ragusa “per una ferrovia moderna”, definita dalla stampa “la marcia della dignità”, eravamo pochissimi; a noi ferrovieri rimase la dignità, alla collettività fu tolto quanto rimaneva del trasporto su rotaia, lasciando solo un servizio di mera testimonianza. Eppure mantenere quei treni, anzi, aumentarli di numero, avrebbe significato meno spese per i committenti (e per i consumatori), meno inquinamento stradale, meno incidenti, traffico più snello, e meno costi per la collettività, dato che mentre le aziende ferroviarie devono badare anche alle spese per la manutenzione delle loro strade (ferrate), le aziende di trasporto su gomma non lo fanno, perché strade e autostrade sono a carico delle casse pubbliche. Un solo treno in partenza, ad esempio, da Ragusa per Catania, poniamo con 10 carri, toglierebbe dalla strada 20 tir; il consumo di un treno è 8 volte inferiore a quello di un camion; un locomotore, o un vagone, hanno una durata lunghissima rispetto alla vita media di un camion. Cosa avrebbe significato questo se giornalmente fossero partiti treni da Ispica, Pozzallo, Scicli, Modica, Ragusa, Comiso e Vittoria?

Eppure, nonostante queste semplici considerazioni, non abbiamo letto dichiarazioni critiche di associazioni ambientaliste in queste settimane; del resto, le stesse sono state sempre molto tiepide anche nella difesa delle ferrovie. Ma non vogliamo instaurare una polemica con esse. Si tratta di mettere in discussione questo modello di sviluppo, che ha molti sostenitori tra i fautori del profitto immediato, a scapito del territorio e dell’ambiente (quindi di chi ci vive), costretti a subire conseguenze irreversibili. Si tratta di parteggiare per un altro modello di sviluppo improntato al buon senso, alla decrescita, al rispetto dell’ambiente e del territorio

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