NATALE NEL LAGER

Benjaminowo, 29 dicembre 1944.

 Cara Nina, è arrivato Natale, c’è freddo, ma non è solo il freddo della neve. La neve sembra entrarti dentro fino a ghiacciare anche il cuore, anche l’anima. Abbiamo sradicato un pino nano per ogni baracca e lo abbiamo piantato in piedi tra i castelli dei nostri letti in legno. Non so chi è stato, ma uno di noi ha fatto tante striscioline di carta e le ha appese ai rami dell’albero. Cerchiamo di scaldarci al ricordo di giorni lontani: in ogni angolo si formano gruppi silenziosi e assorti. Fuori nevica e di casa non sappiamo nulla. Qualcuno che ha paura del silenzio, parla con voce monotona dell’albero che preparava per i suoi bambini, ma nessuno lo ascolta.
Ognuno cerca allora di imbastire da sé, alla meno peggio, il proprio Natale.

Fuori c’è chi rovista tra i rifiuti. Un’ombra nera, accoccolata lì vicino, sta scavando sotto la neve. E’ un giovanissimo prigioniero russo, biondo, con degli occhi grigiastri, sbarrati e stupiti, come quelli di un animale selvatico in gabbia. Sta cercando di razzolare nel mucchio in cerca di qualcosa da buttare nello stomaco. Mi offre un torsolo di cavolo e guarda compiaciuto l’impeto e la voracità con cui mi avvento sul suo regalo di Natale. Ci guardiamo a lungo negli occhi, intessendo un dialogo a bocca chiusa. So che questa lettera non può arrivarti, ma scriverti mi illude d’essere ancora in una vita possibile.

Ti stringo forte e ti bacio,tuo  Paride


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