L’UMANIZZAZIONE: CHE ROBA E’?

Sappiamo tutti che cos’è una barzelletta. E’ una “caricatura” in forma verbale di una realtà. E la caricatura sta al ritratto come la barzelletta sta alla storia e alla cronaca.

Ciò vuol dire che anche le barzellette, poco o molto, ci “acchiappano” una qualche dose di verità.

La “barzelletta” in questione, che spesso racconto nei miei incontri sulla comunicazione con gli operatori sanitari è la seguente: un paziente va dal suo medico lamentando un disturbo al fianco, spossatezza, difficoltà a digerire ed altre quisquilie sintomatiche. Il suo medico, coscienzioso, lo ascolta, lo ausculta, lo tocca e, infine, formula una ipotesi diagnostica. A questo punto si rivolge al paziente e gli dice, con aria tranquilla: caro mio, secondo me è il tuo fegato! Ti prescrivo esami, tu li fai, ma per il momento il mio consiglio è quello che…  mi lasci il tuo fegato tre o quattro giorni, poi passi a ritirarlo e vedrai che tutto andrà meglio!

L’umanizzazione è esattamente questa roba qua: passare da un modello della cura e del rapporto medico-paziente centrato sulla malattia, ovvero sul  “danno” del corpo/macchina, a un modello del “prendersi cura”, centrato sul “malato”, ovvero sull’abitante del corpo sofferente.

Il medico che esorta il paziente a lasciargli il fegato, esprime – ovviamente in modo surreale (Bunuel….?)- il paradigma di una medicina che patisce il fastidio recatole dal soggetto vivo, in ansia, richiestivo, attraversato da una storia, mentre cerca di occuparsi seriamente, scientificamente, “oggettivamente” del suo problema “organico”.

Qual è il luogo in cui si concentra la maggior parte dell’organizzazione che, nella storia dell’occidente, si è data la medicina? Ma non c’è dubbio: è l’ospedale!

La sfida che accogliamo e che ci terrà impegnati a lungo è questa: trasformare un luogo in cui storicamente si “contiene” la malattia in un luogo in cui si “accoglie” il malato.

E’ utopia? E chi se ne frega?

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