LETTERA APERTA AI PRESIDENTI E AGLI ISCRITTI DEGLI ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI TECNICI DI RAGUSA

Egregi Signori,

è appena trascorsa la prima metà del mese di ottobre, e non abbiamo ancora avuto alcun riscontro alla nota seguita da 170 firme che vi è stata inviata in data 03/07/2013 presso rispettivi indirizzi di posta elettronica ufficiali degli ordini di appartenenza, senza ottenere alcun riscontro.

In questa fase, ancora una volta intendiamo ricordarvi che l’accessibilità, intesa come definito dalla Normativa vigente, oltre ad essere un diritto di tutti, rimane un obbligo normativo, al quale bisogna adeguare il proprio modo di vedere la vita altrui durante la progettazione, così come lo si fa già in larga parte i altri ambititi per la Normativa sulla sicurezza sul lavoro o degli impianti.

Ci rendiamo anche conto che per chi riesce a correre o a salire e scendere marciapiedi e gradini, la normalità della vita si sviluppa da un punto di vista schematico, che porta l’immaginario collettivo a guardare verso una città realizzata in funzione della mobilità intesa come il mezzo che permette il raggiungimento di una meta, dove gli ostacoli non incidono sulla personale azione di svolgimento della vita.

Tutto questo avviene anche grazie al fatto che gli uffici preposti agli accertamenti sull’applicazione della Normativa, non sono mai stati attivati, per cui basta una semplice dichiarazione da parte del progettista sull’eliminazione delle barriere architettoniche e il gioco è fatto, e mentre in tutta Italia si discute di Universal Design, qui l’obiettivo comune risulta essere la total iniquity, dove la progettazione molto spesso va fatta per molti ma non per tutti.

Col passare del tempo, ognuno di noi vivendo una condizione di mobilità diversa rispetto al progettista classico, si è reso conto dell’impossibilità della fruizione dei locali pubblici o aperti al pubblico, che fin dal febbraio 1992, sarebbero dovuti essere resi accessibili, in barba anche alle previsioni di mancato finanziamento pubblico che pensate, risale al 1986.

In merito alla deontologia manifestata in proposito dai rispettivi Ordini e Collegi, preferiamo non estendere alcun commento.

In data  24 settembre, questo Comitato, ha chiesto al Sindaco di Ragusa, un incontro ufficiale con voi Presidenti, finalizzato a risolvere questa situazione in modo ottimale per tutti, e ci aspettiamo delle risposte serie e concrete sulla soluzione di questa vicenda che noi continuiamo a definire “bullismo tecnico-amministrativo” perpetrata costantemente a danno di persone con impedita o ridotta capacità motoria.

In attesa che magari qualcuno di voi prenda visione di quanto descritto in questa missiva pubblica, e nella mail inviatavi il 3 luglio scorso, intendiamo ricordarvi che la Legge è molto chiara sia in termini di discriminazione volontaria, che in termini di sanzioni previste per il progettista, il direttore dei lavori e il collaudatore, e vi  invitiamo a prendere visione sia degli art.. 23 e 24 della legge 104/92, che dell’art. 82 del D.P.R. 380, definito “Testo Unico per l’Edilizia”.

Questo invito pubblico che vi abbiamo rivolto è finalizzato ad evitare che la presentazione di dichiarazioni tecniche non rispondenti alla verità continuino a garantire la furbizia o magari l’ignoranza tecnica in materia di accessibilità, e ponga il cittadino in condizione di dover chiedere la chiusura delle attività aperte al pubblico, così come prevede la norma appena citata.

Si tratta di dare semplicemente un cenno di civiltà alla nostra città attraverso il vostro lavoro, rendendola semplicemente aperta a tutti, e di una presa di coscienza per la quale un diritto rimane tale e in questo caso anche un obbligo normativo, e non una richiesta di cortesia.

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