L’era del lavoro da remoto: l’Italia è pronta a cavalcare questo trend?

Con la pandemia da COVID-19, siamo ufficialmente entrati nell’era del lavoro da remoto. La tecnologia ha trasformato il modo in cui lavoriamo e interagiamo online, permettendoci di comunicare con colleghi e clienti a chilometri di distanza, dalla comodità di casa.

Questa rivoluzione ha portato con sé diversi vantaggi, fra cui una maggiore flessibilità e una riduzione di alcuni costi nei bilanci aziendali. D’altra parte, però, ha anche ampliato la superficie d’attacco a favore dei cybercriminali. L’Italia, come molti altri Paesi, sta cercando di stare al passo con le ultime tendenze sul fronte della sicurezza informatica, ma la strada da fare è ancora lunga, come avremo modo di scoprire nei paragrafi successivi.

Cybersecurity in Italia: una panoramica preoccupante

Nel 2023, l’Italia ha registrato un aumento del 65% degli attacchi informatici gravi. Una crescita di gran lunga superiore rispetto al resto del mondo, in cui l’incremento medio è stato del 12%.

Questo dato dimostra quanto sia vulnerabile il nostro Paese di fronte a minacce come ransomware, attacchi DDoS e phishing. Uno degli episodi più importanti ha visto protagonista la regione Lazio: nell’agosto del 2021, il portale di registrazione vaccinale è stato bloccato da un attacco ransomware, provocando un’interruzione significativa dei servizi sanitari a Roma e dintorni.

Questa situazione è aggravata dal fatto che molte organizzazioni pubbliche e private in Italia non si sono ancora aperte a strumenti efficaci per la cybersecurity, come le reti private virtuali. Tale approccio si nota chiaramente nel rapporto di Thales, che mostra come circa il 44% degli esperti IT italiani non si senta ancora al tranquillo nell’uso degli attuali sistemi di sicurezza per supportare il lavoro ibrido ​(da remoto e in presenza).

IP dedicati e sicurezza informatica

Un ambito nel quale le aziende italiane potrebbero fare progressi riguarda l’uso di indirizzi IP dedicati per proteggere con maggiore efficacia gli accessi da remoto. Con un IP dedicato si può limitare l’accesso alle risorse aziendali solo a determinati indirizzi IP autorizzati, riducendo drasticamente la superficie di attacco. Questa soluzione è utilissima nel contesto del lavoro da remoto, in cui i dipendenti accedono frequentemente a reti aziendali da diversi dispositivi e luoghi geografici.

Ad esempio, un’azienda può configurare i propri server in modo da lasciar passare solo le connessioni dagli indirizzi IP in whitelist, riducendo così il rischio di accessi non autorizzati. Questo approccio si integra perfettamente con le strategie di sicurezza “Zero Trust”, che prevedono una verifica di ogni accesso a prescindere dalla sua origine.

Investimenti in cybersecurity in Italia: stato attuale e prospettive future

Partiamo dalle buone notizie: l’Italia sembra muoversi nella giusta direzione. Nel marzo del 2022, il governo ha annunciato il lancio della prima strategia nazionale per la cybersecurity, che prevede l’implementazione di 82 misure di sicurezza entro il 2026. Questo approccio è affiancato da investimenti pari all’1,2% del PIL nello sviluppo e nella promozione della sicurezza informatica​.

Tuttavia, nonostante questo impegno, il mercato della cybersecurity in Italia è ancora limitato. Il settore ha generato solo 1,63 miliardi di euro di ricavi nel 2021, con un tasso di crescita annuo composto del 9,09% previsto fino al 2027​. Per rafforzare ulteriormente le proprie misure difensive, le aziende italiane devono aumentare gli investimenti in tecnologie basate su intelligenza artificiale, machine learning e autenticazione multifattoriale.

Formazione e consapevolezza: le chiavi di difesa

Uno dei principali problemi in Italia è la mancanza di formazione adeguata sulla cybersecurity tra i dipendenti. Nel 2022, solo il 37,9% dei lavoratori ha ricevuto una formazione in materia di sicurezza informatica, con il 65,9% che avrebbe voluto partecipare a corsi di aggiornamento. Per colmare questa lacuna, le aziende italiane dovrebbero investire non solo in tecnologie, ma anche in programmi di formazione e sensibilizzazione, coinvolgendo le risorse umane a tutti i livelli.

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