La psicosi del cambio-stagione: “È arrivata l’ora?”

C’era una volta il cambio-stagione. Tanto ma tanto tempo fa, sino alle terre più sperdute di Sicilia, una cosa semplice semplice succedeva come per magia ad aprile inoltrato: assembravi tutte le cose invernose con ascendente autunno, le scaraventavi in un armadio dai mille cassetti e te le scordavi. In un addio di poche parole e minimi rimpianti. Senza stirarle. Le “abbiavi ad munsieddum”. Dicevano i latini. Sigillavi poi con il lucchetto e gettavi via la chiave per il tempo di una gravidanza (nove mesi). Così, in scioltezza. Easy. E via!

Ora no. “Now these cats!”, dicono gli inglesi. Devi avere tre armadi aperti, spalancati, pronti, agili, allibiti. Uno per la stagione estiva che va dalle 9.00 alle 16.00. Un altro per la primavera che sboccia dalle 16.00 alle 21.00. Un altro per l’autunno che irrompe dalla mezzanotte sino al primo albeggiare, a colpo subitaneo.

E stendiamo un velo pietoso sulla grandinata di ieri. A maggio quasi. Grandine. È un delirio climatico. E antropologico.  Lo sapete anche voi. E non è meraviglioso tutto ciò? In fondo, anche questa è una forma di intelligenza e creatività. Funziona, se si rimane sani di mente. È l’evoluzione della specie. Ecco perché la nostra città assomiglia ora a un Multiverso in cui gli individui abitiamo in diverse dimensioni: alle cinque del pomeriggio puoi imbatterti per strada in due esseri umani, uno in magliettina e bermuda, l’altro con il maglioncino e i pantaloni a zampa di elefante. Credono di vivere nella stessa città. Ma appartengono a due dimensioni parallele del Multiverso. E a due armadi che viaggiano nel tempo senza incontrarsi mai.

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