LA GRANDE RIFORMA “SPIRITUALE”

Di tanto in tanto l’orologio del nostro Paese batte in anticipo l’ora delle riforme. Spesso è però l’agenda politica del Governo ad accendere, prima e dopo le elezioni, le luci su questo o quel problema e a rinverdire questa o quella speranza civile, economica e politica chiacchierando di ipotesi di riforme. All’illusione di una stagione riformatrice segue puntualmente la delusione e la constatazione amara della incapacità di voler convenire insieme su comuni ipotesi progettuali e su metodologie congruenti a disegnare “condivisi” scenari riformatori. Sul piano istituzionale i titoli sono sempre gli stessi e vanno dal federalismo leghista con l’impianto teorico dello scomparso prof. Miglio, del secessionismo morbido delle macro-regioni, o del semi-presidenzialismo alla francese per ratificare gli equilibri di potere raggiunti. Sul piano fiscale e sociale la tentazione è sempre la stessa e riguarda la riduzione delle tasse non in senso progressivo al reddito ma come variabile dipendente da un “welfare minimo” e il bene comune concepito come assistenzialismo attraverso la raffica dei bonus per le famiglie, per le rottamazioni mirate al consenso (ad esempio: motorini si, lavabiancheria no!). E potremmo continuare.

In realtà ci stiamo accorgendo che, nonostante la propaganda governativa, la crisi economica,morale e sociale del Paese è più seria di quel che si pensava e di come viene appalesata ufficialmente. Gli indicatori produttivi ed economici sono molto gravi e toccano da vicino ormai le imprese e il lavoro che rischiano una spirale perversa e reciproca di chiusura.  
 
Due milioni di senza lavoro si sono aggiunti allo sfascio del sistema scolastico, della ricerca e dell’Università che, secondo i dati ISTAT e della Banca d’Italia e le stesse stime internazionali non formano per il lavoro ma la disoccupazione e l’emigrazione intellettuale. L’8 per cento dei giovani italiani sono fuori del mercato del lavoro con punte più alte nel Mezzogiorno. La gioventù meridionale in particolare è diventata l’area di parcheggio della emigrazione pronta a partire oppure la coltura più fertile della devianza sociale di facile reclutamento. Le piccole e medie Aziende d’altronde, con la galoppante difficoltà finanziaria e produttiva, sbarcano ormai, come vittime della finanziarizzazione,  nella globalizzazione della precarietà e nella macelleria della delocalizzazione del lavoro (Termini Imerese etc.). A rischio in verità, senza volere esagerare, non c’è solo l’economia, ma anche il volto produttivo, cioè il cuore del made in Italy, l’anima e l’identità del Paese, la credibilità della sua politica e della sua democrazia come valore mentre impera la cooptazione centralistica e si è restii ad abrogare la legge Calderoli che ha eleminato il voto di preferenza. 
 
Il problema dello sviluppo economico e civile è complesso ma si aggrava ancora di più perché si sono ristretti gli spazi della libertà critica e creativa e manca persino la coscienza e la volontà di avviare urgentemente e prioritariamente una Grande Riforma “Spirituale” del Paese. La danza sulla riforma istituzionale continua per dare più potere e più decisionismo al Governo  e ridurre sul piano concreto il potere di controllo del Parlamento e non significa far funzionare al meglio il sistema democratico ma si traduce nell’asservimento dello stesso organismo parlamentare alle finalità dell’esecutivo. Con le reiterate fiducie “tecniche” è stato già di fatto commissariato il Parlamento nazionale allo scopo di piegarlo all’efficienza e ai progetti di una maggioranza “ad personam”. Sul piano tecnico la prima riforma procedurale dovrebbe riguardare il difficile problema del facile ricorso alle fiducie da parte del Governo. Basterebbe elevare per le leggi di grande rilevanza di bene comune (giustizia, scuola, lavoro, televisione…) il quorum ai due terzi superando la maggioranza semplice. Nessuno però farebbe un riforma del genere senza un largo movimento di opinione pubblica che lo costringa a cambiare metodi e sistema. Ci vorrebbe a monte e subito una Grande Riforma “Spirituale” per fare emergere il cuore, il ventre e il sottoscala del nostro ordinamento istituzionale concreto e il suo funzionale rapporto con la nostra società civile, le sue trame e problemi, i bisogni e le relazioni, le situazioni e le funzioni, i conflitti “nascosti” e le prospettive di contesto.

E’ arrivato il momento di guardare ,come in uno specchio ,l’anima del Paese come centro  di riferimento del vissuto personale e comunitario e far circolare nel corpo vivo della società nuovo sangue e nuova linfa spirituale e morale. L’Italia ha bisogno di questa necessaria e prioritaria terapia sociale nelle sue istituzioni attuali e nelle sue agenzie educative a tutti i livelli. Solo una nuova e appropriata paideia civile più evidente e sinergica e più adeguata alle sfide del tempo può far fronte, in tutti i gangli sociali e vitali ai problemi dei giovani, sensibili e fragili, disoccupati e precari, che non riescono più ad aver fiducia nello Stato democratico.

Per questo bisogna bonificare con decisione il territorio interiore, mediatico e virtuale, reale e sociale che con le sue diseguaglianze condiziona le relazioni e riproduce nel tessuto vivo della nazione isole di disperazione economico-sociale e valoriale e di prospettiva incerta di futuro con le politiche “mordi e fuggi”, come ad esempio nella scuola e nel lavoro (riforma Gelmini, riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori!). Il “politically correct” non dà ragione della grande crisi e del grande bisogno che interpella la società e lo Stato, la cultura e la politica e la stessa Chiesa- istituzione, invasa da una inondazione “secolarizzante” e accerchiata da un fiume di problemi nuovi di carattere pastorale. Oggi la socializzazione interiore degli italiani, a livello delle élites dirigenti, è di fatto “anticipatoria” e omologante e lega tutti, “conformisti o irregolari” (cfr. dibattito Pierluigi Battista – Eugenio Scalfari in l’Espresso, 18 febbraio 2010, p. 162) “apocalittici o integrati” di Umberto Eco del passato, e riguarda l’identità della buona società italiana e il senso dello Stato unitario, ormai sfilacciati e frammentati, in pericolo e in procinto di svuotamento e di derubricazione. Tutte le istituzioni più significative, come anche le agenzie etiche ed educative,  inseguono con affanno i problemi sociali nel loro pullulare quotidiano e territoriale sia la questione antropologica e morale che la questione sociale del lavoro e dello sviluppo.

La pedofilia non è il male di qualcuno, ma attraversa tutta la società e gli ambienti educativi che si interrogano seriamente sulla urgenza di una maggiore tutela dell’infanzia e dei giovani sul piano morale e pedagogico e ricercano un nuovo accompagnamento iniziatico delle generazioni giovanili alla sessualità umana normale ed equilibrata e alla santità delle relazioni sociali. E’ stata rimessa in discussione la gerarchia dei valori tradizionali con la logica del piacere rapido e breve, del profitto facile e fecondo, del lavoro precario e occasionale. La stima complessiva del valore della vita, della propria professione e del lavoro nella società non fanno parte programmaticamente della funzione sacra dell’etica pubblica e della politica.

La Grande Riforma “Spirituale” ad una attenta considerazione sociologica, etica e politica dovrebbe governare il processo delle tante riforme, ma realisticamente nel nostro Paese non è ancora una scelta condivisa. Può essere promossa e testimoniata con impegno e forza dalla Chiesa cattolica e da un suo adeguato e specifico “servizio sacerdotale e laicale”, puro e disinteressato, maturo e democratico.

Forse stiamo vivendo, e non ce ne siamo ancora pienamente accorti, “una mutazione societaria” dal Sud al Nord. La società “incivile”, di cui ha parlato Guido Crainz (cfr. Repubblica, 1 aprile 2010, p. 35) avanza nel nostro Paese con un miscuglio di fenomeni inquietanti: gli attori sono ignoranti, cinici e in buona parte sfruttatori e disonesti, il lavoro è “indecente”, l’illegalità galoppa e la bugia e  la menzogna dominano sovrane o quasi nelle relazioni interpersonali, in quelle pubbliche e persino istituzionali. Nella comunicazione mediatica, pubblica e privata, si arriva per esigenze di strategia di consenso politico a manipolare,in maniera sistematica, anche l’informazione essenziale e ufficiale nascondendo i fatti e il relativo giudizio critico di merito e di prospettiva.

Vige purtroppo l’assioma o il presupposto di moda secondo cui oggi non si può smentire il mendacio perché non sono chiare le sedi credibili e non è accertabile la verità, se non nel lungo periodo e dopo una faticosa e difficile ricerca. Il popolo è disorientato perché anche gli indiziati formalmente di reato si difendono anche nella televisione pubblica e non si capisce più che cosa stia succedendo nel Paese. Tutto e il contrario di tutto sembra possibile. Non si capisce più se il capo del Governo ha veramente fatto qualcosa o se non ha fatto nulla ed è innocente sugli argomenti su cui è indagato. La bugia ha sì le gambe corte ma il tiro è diventato più pronto e lungo ed è capace di colpire e di fare subito male alle persone,alla giustizia,alla credibilità politica e al Paese e alla stessa educazione delle giovani generazioni

Il conformismo della indifferenza e dell’individualismo di massa ormai è omologante ed eguaglia i cuori e i territori sia la vita reale che la auspicata felicità ideale e collettiva. Tutti vogliono di più per sé e per avere successo anche ricorrendo ad una competizione “drogata” dal denaro, dalle camarille e dalla cattiva politica, non solo a livello privato, ma anche a livello pubblico

Aveva ragione Ch. Peguy: “l’argent, miseria del Povero, miseria del Ricco”. Una cultura orizzontale di monetizzazione della vita e della società “accomuna” Nord e Sud, veicolata e resa persuasiva dalla TV pubblica e privata, con i suoi programmi popolari, sia di pubblicità che di moda, colpisce come un fall out i giovani sia della borghesia che del popolo, sia il disagio spirituale che quello della disperazione dei disoccupati

La differenza sostanziale sul piano socio-culturale e valoriale si è molto attenuata. Aveva ragione John Kennedy quando in un famoso discorso da Presidente degli USA sosteneva che “il conformismo è il carceriere della libertà”. A mio parere ormai il costume dei giovani e degli adulti ha una dimensione culturale molto simile per gli scopi da raggiungere ma molto lontana dalla sobrietà spirituale e valoriale del passato. La riprova si può trovare nella cultura politica che, inquinata dalla trama eversiva e criminale, cresce molto spesso con il voto di scambio. Anche se non è ormai la vecchia tangentopoli di “mani pulite”, è sempre l’onda lunga della corruzione perversa e a spirale

La profezia di Leonardo Sciascia, che non era solo politica ma spirituale, si è verificata. Da buon e acuto intellettuale meridionale, egli sosteneva che la crisi del Paese era complessa e generale e che  “le palme sarebbero arrivate al Nord” e la cultura mafiosa avrebbe unificato l’Italia dal Sud al Nord portandovi la sua vocazione alla illegalità e al ricorso alla morte e alla violenza. Egli infatti sosteneva che “una contemplazione della morte… può esprimere un mondo assolutamente refrattario alla trascendenza” (cfr. La corda pazza, Einaudi, Torino 1980). L’associazionismo  tradizionale dei mondi vitali, ormai in crisi, non è più ormai un efficace anticorpo perché non forma più alla libertà e alla cultura dello sviluppo comune i meridionali né le nuove élites con un senso nuovo e forte di appartenenza morale e spirituale alla democrazia repubblicana anche al Nord. 
 
La crisi in verità ha incominciato a toccare tutti e tutto. In nichilismo è inquietante. La Grande Riforma “Spirituale” interessa tutti e tutto, sia l’ethos pubblico che gli attori principali, compresa la Chiesa cattolica e le altre religioni. Siamo arrivati quindi ad una svolta. Dobbiamo “navigare” senza miopia né con un piccolo cabotaggio, ma con una bussola “nuova” e a lungo respiro. La Chiesa cattolica in particolare può ancora ritrovare nella lezione “perenne” del Concilio Vaticano II e nel Papato Riformatore una carta di navigazione ed una guida sicura di direzione e di orientamento solida nel suo patrimonio bimillennario e nella capacità di profezia pastorale per la santità dei suoi attuali pastori. Il documento dei Vescovi italiani “Per un Paese solidale” è forse lo sguardo più coraggioso, concreto e illuminato sull’attuale e profonda crisi del Paese che sia stato scritto negli ultimi dieci anni. I vescovi italiani con il presidente card. Angelo Bagnasco parlano un linguaggio chiaro, profetico e non reticente sulla mafia del Sud e del Nord e invitano i laici cristiani e gli uomini di buona volontà ad essere non solo “presenti ma protagonisti” nel cambiamento morale e spirituale del Mezzogiorno e dell’intero Paese. E’ un documento di sostanziale novità, di approccio politico libero e pastorale, capace di generare speranza e prospettive credibili e costruttive senza collateralismi politici

La Chiesa italiana ha privilegiato nel recente passato quasi prevalentemente il terreno istituzionale, agendo da lobby anziché da agenzia sociale di animazione religiosa, di formazione e morale e di cultura etica e valoriale in senso antropologico. Per questo è stata storicamente inadeguata la Pastorale delle emergenze che sono state inseguite offuscando la stessa missione principale dell’annuncio e della conversione a favore di una concezione della libertà religiosa come libertà di opinione nel dibattito politico e di legittimazione religiosa delle scelte concrete per una presenza di orientamento etico-sociale nella sfera pubblica e non solo privata. Spesso i documenti sono stati comunicati in forma di orientamenti nella prossimità di eventi elettorali e ciò ha nociuto alla intelligenza e all’autenticità del messaggio religioso e morale cristiano. La Chiesa non intende sedersi su una comoda ricerca di privilegio economico, politico e sociale, ma vuole invece attestarsi su uno sforzo creativo, inclusivo e redentivo di rigenerazione della vita e dei modelli di vita della società civile come la famiglia, la Scuola, la cultura, l’economia e la comunicazione politica. Evangelizzare “le culture” e non solo la cultura, come sosteneva Papa Paolo VI nella “Evangelii Nuntiandi” (n. 19 e n. 20) che continuano a costituire l’arcipelago del vissuto individuale e relazionale degli uomini e soprattutto dei giovani dell’universo reale e virtuale dei peer-groups di oggi.  
 
Quando la fede è ridotta ad una opinione “politica” perde Dio e il suo orizzonte pastorale. E’ quello che sta accadendo in Italia anche per colpa dei laici cattolici che, schierati politicamente, attribuiscono alla propria parte la rappresentanza del vero cattolicesimo per cui la fede è riconosciuta importante nel momento elettorale e tradita come anima di cambiamento e culla dei valori fondamentali nella pratica ordinaria della vita sociale e nazionale. Diceva a riguardo Emmanuel Mounier: “Si parla continuamente di impegnarsi come se ciò dipendesse da noi: ma noi siamo impegnati, imbarcati nell’avventura, pre-occupati… l’astensione è un’illusione… chi non fa politica, fa passivamente la politica del potere costituito” (cfr. Il Personalismo, Ave, Roma 1964, p. 127). I laici cattolici devono approfondire nel pluralismo delle libere opzioni politiche il comune ancoraggio ai valori fondanti mentre le loro mediazioni politiche devono essere lasciate aperte, libere, e in qualche modo capaci di intese “riconducibili al bene comune”. Sarebbe un bel segnale se venisse dalle diocesi una richiesta urgente al Governo di difesa e di creazione di lavoro e di sviluppo delle imprese con una politica ad hoc di straordinaria urgenza,specie nel Mezzogiorno. 
 
Ci vogliono le riforme del lavoro e della produttività, della estensione universale del benessere e del benavere, nei territori e nei settori più deboli della società, compresi, a buon titolo di diritto umano, di merito e di bisogno, i poveri immigrati “clandestini” che cercano nelle sponde del nostro Paese una vera e buona accoglienza italica ed una integrazione, giusta, promozionale e democratica in linea con le leggi e le disposizioni internazionali a favore degli immigrati, dei rifugiati sociali e politici. Ci vogliono le riforme in tutti i campi ma senza la Grande Riforma “Spirituale” la laicità perde la giustizia sociale, la fede religiosa non ritrova l’Eucaristia, la Pentecoste si ferma ad Eboli, la politica resta ancorata “ad personam” e il bene comune diventa il porto delle nebbie e delle promesse elettorali.  Bisogna convincersi che ancora, e soprattutto oggi, “occorre purificare la spiritualità di un’epoca” non solo strappandola alla schiavitù vergognosa del denaro, ma restituendole le fonti stesse del suo vigore. Secondo Mounier “questo è il compito più profondamente rivoluzionario” che interessa sia i laici credenti che i giusti non credenti nelle ore difficili della storia.  

 

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