La Contea di Modica al centro di uno spionaggio internazionale tra Spagna ed Austria. di Uccio Barone

I due documenti inediti utilizzati per questo articolo, la “Relazione”  politica e il “Ragguaglio” economico sulla Contea di Modica, portano la data  del 7  agosto 1721 e sono stati redatti dal ministro per gli affari di Sicilia, Blanco, allo scopo di informare riservatamente l’ Imperatore Carlo VI d’ Asburgo.
Entrambi sono stati da me ritrovati all’ Haus-Hof-und Staatarchiv di Vienna nel corposo fondo Italien Spanicher Rat Sizilien ( suddiviso nelle due raccolte “collectanea” e “corrispondenz” ). Essi confermano l’ ampiezza della documentazione esistente nei grandi Archivi europei e la necessità di contestualizzare la storia locale in una dimensione internazionale.
Poco più di un anno prima si era appena conclusa la lunga guerra per la successione spagnola.  Questo conflitto era iniziato nell’ anno  1700 , quando in mancanza di eredi diretti era stato incoronato a Madrid Filippo d’ Angiò nipote di Luigi XIV re di Francia in contrapposizione all’ arciduca austriaco Carlo ( diventato in seguito imperatore ). In quel frangente la Contea si trovò coinvolta in una complessa trattativa diplomatica. Il Conte Juan Thomas Enriquez Cabrera, infatti, in qualità dì ambasciatore della Corte madrilena a Vienna, si era schierato per il pretendente asburgico in odio al sovrano di origine francese, cosicché Filippo V lo aveva condannato a morte in contumacia  e ne aveva confiscato al Demanio regio il suo enorme patrimonio. Juan Thomas avrebbe poi perso la vita in Portogallo nel 1705 ( cfr. la classica monografia di Cesareo Fernandez Duro del 1902 ).
In base al Trattato di Utrecht nel 1713 Filippo V fu confermato sovrano, ma  venne a cessare l’ antico predominio spagnolo in Italia, poiché anche Lombardia e Regno di Napoli entrarono ora a far parte dell’ impero asburgico , mentre la Sicilia fu assegnata a Vittorio Amedeo di Savoia che fu così innalzato allo status di monarca. Ad Utrecht Filippo V trattenne però per se la Contea di Modica, dove fu inviato un ministro-governatore di sua fiducia : un codicillo speciale di quel Trattato impegnò le grandi Potenze a riservare al re di Spagna l’ ex feudo degli Enriquez Cabrera . “Enclave” spagnola in una Sicilia “piemontese” e in un’ Italia “austriaca”, la Contea si trasformò da quel momento in un centro di spionaggio internazionale . In un denso contributo apparso su “Archivium Motycense” ( 1997, n.3 ) Giancarlo Poidomani ha analizzato questa drammatica congiuntura . Partendo da questo piccolo ma strategico territorio, infatti,  la Spagna avrebbe cercato di riguadagnare il possesso dell’isola con l’ appoggio di una parte dell’ aristocrazia iblea che si opponeva al centralismo sabaudo per timore di perdere secolari autonomie e “franchigie” feudali. Non a caso, dalle città della Contea vennero sostanziosi aiuti in denaro, frumento ed armi in appoggio della spedizione militare del cardinale Alberoni che nel 1718 fece un estremo tentativo ( fallito ) di riconquistare l’ intera Sicilia. Finalmente con la pace firmata a Rastdat nel febbraio del 1720 si stabilizzarono i rapporti tra Spagna, Francia ed Austria e in cambio della Sardegna  Vittorio Amedeo di Savoia retrocesse la Sicilia all’ Austria.
Che farne dunque della Contea di Modica passata dopo quattro secoli “spagnoli” sotto il dominio di Vienna ? E quali rendite si potevano ricavare da quel territorio da molti scrittori celebrato per la sua fertilità e per le sue eccellenze produttive ? Lo studio economico-statistico redatto dal ministro Blanco nel 1721 non lasciava dubbi in proposito : quello  degli Enriquez Cabrera era tra i più ricchi stati feudali dell’ isola. Le entrate lorde della Contea furono calcolate infatti nella somma di 71 860 scudi contro uscite complessive per 44 280, con un guadagno netto per il fisco imperiale di ben 37 580 scudi. Per l’ alto funzionario asburgico dopo  il terremoto del 1693 le città si stavano ricostruendo più belle di prima,  le derrate agricole si commerciavano “con universale profitto”, i vassalli vivevano sicuri e “con ogni commodita’“.   La questione finanziaria destava tuttavia  non poche preoccupazioni a Blanco. Gli abitanti della Contea erano da secoli avvezzi a un regime di autonomia amministrativa e le aristocrazie locali si autogovernavano come “Regnum  in Regno” : dogane e tratte regie venivano sistematicamente evase e fiorivano i contrabbandi di frumento e carne. Quale lealtà ci si poteva aspettare da gente “troppo adusa alla libertà” ? Come imporre un sistema di accentramento statale a sudditi pronti  a tradire chiunque avesse attentato ai loro privilegi ? La Contea si rivelava bella ma infedele. Un vero grattacapo politico.
A pace conclusa per Carlo VI si pose anche il  problema di restituire la Contea ai legittimi eredi di Juan Thomas , in particolare a Pasquale Enriquez Cabrera che però risiedeva a Madrid e “fedelissimo” di Filippo V. Si poteva retrocedere il feudo comitale a un nobile spagnolo nemico giurato di Casa Asburgo? Per Blanco sarebbe stato opportuno proporre a quel sovrano  una permuta di territori, scambiando la Contea con altri beni posseduti in Spagna da sudditi dell’ imperatore austriaco, in modo da eliminare la scomoda presenza degli Enriquez Cabrera. A favore di tale soluzione si pronunciarono subito i maggiori  esponenti della nobiltà locale : i Grimaldi, i Lorefice, gli Arezzo, i Celestre, i La Rocca e i Penna auspicarono  una divisione dello Stato comitale in tenute di 2000/3000 ettari , così da sostituirsi come nuova oligarchia dominante al posto  della famiglia feudale iberica. Le trattative si protrassero per diversi anni , ma alla fine prevalse un accordo diplomatico tra Vienna  e Madrid che consentì nel 1727 la restituzione della Contea a Pasquale Enriquez ed ai suoi successori fino all’ abolizione finale della feudalità stabilita dalla Costituzione siciliana del 1812. Sul piano giuridico non passò dunque l’ ipotesi di frantumare l’ unità territoriale della Contea in piccoli feudi nell’ interesse esclusivo dell’ aristocrazia locale. Di fatto i veri vincitori della sfida furono ancora una volta i “doviziosi vassalli” che seppero confermare le proprie “prische libertà “.
di Uccio Barone

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