IL RITORNO DEL FIGLIO BASTARDO

Eppure pensavamo di essere andati oltre la suddivisione tra figli legittimi e illegittimi, vigente fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975. Pensavamo che mai più nessuno avrebbe fatto alcuna distinzione tra tipologie di figli sulla base della modalità con cui questi sono stati concepiti. Ritenevamo che il principio secondo cui è l’interesse del minore a prevalere su tutto sarebbe stato il faro guida in qualunque punto del processo legislativo, prevalendo a sua volta sulle posizioni ideologiche che in qualche modo quel principio cercano di negarlo, o di limitarne la portata. Ci illudevamo, a quanto pare. Perché oggi, nel terzo millennio, sembra che le lancette dell’orologio abbiano iniziato a muoversi all’indietro per riportarci nuovamente a un mondo dove un bambino può essere privato di un diritto fondamentale: quello di chiamare mamma o papà la persona che sa essere tale.

A dirla tutta la definizione “figlio illegittimo” era perfino rispettosa se paragonata a “bastardo”, dizione normalmente usata in contesti popolari o informali e assurta, per così dire, al rango di offesa. Essendo il matrimonio, a quel tempo, l’unico modo legittimo di mettere al mondo la prole, va da sé che il frutto di un’unione non matrimoniale non poteva che essere illegittimo e di conseguenza risultare privato di qualunque tutela parentale prevista dalla legge. E poiché nella società patriarcale di allora l’identità della persona veniva pure integrata col nome del padre, nei documenti dei figli illegittimi al nome della persona veniva aggiunta la dicitura “di N.N.” (Nomen nescio, o più semplicemente Non nominato).

Venne poi la riforma del diritto di famiglia, come già detto nel ‘75, e la definizione per il figlio extra matrimoniale cambiò in “figlio naturale”. Il che fa un po’ sorridere perché sarebbe come dire che i nati da coniugi sarebbero innaturali, ma ovviamente non era questo il senso della riforma che anzi estendeva ai figli nati fuori dal matrimonio le stesse tutele di quelli nati da coppie sposate, parificando allo stesso tempo anche i diritti dei coniugi. Occorreva tuttavia che il bambino venisse riconosciuto esplicitamente dal genitore; era teoricamente possibile ricorrere all’assegnazione giudiziale di paternità (o di maternità) supportata da prove, ma occorrevano due processi distinti e consecutivi e dunque tempi geologici. A questo rimediò la Consulta con la sentenza 50/2006 che dichiarò incostituzionale l’art. 274 c.c.. Nel 2012, infine, la legge 219 rese totale l’equiparazione dei figli includendo tra questi anche quelli adottivi, quindi senza legami biologici con nessuno dei due genitori.

Un percorso, quindi, che nell’arco di circa un terzo di secolo ha eliminato l’ingiusta discriminazione tra bambini che certo non avevano potuto scegliere come e da chi nascere, ma che pur tuttavia venivano classificati come figli di serie A, serie B o serie Z. E con essi i loro diritti, subordinati a logiche moraleggianti ormai riposte in soffitta. Per questo, oggi, lo stralcio dell’adozione del figlio del partner dal disegno di legge sulle unioni civili brucia in modo particolare. Non può essere considerata riduttivamente una sconfitta delle famiglie arcobaleno, o una sconfitta dei laici. Ad essere stata sconfitta è l’intera società civile, perché è ai suoi bambini che si stanno negando dei diritti. Per le coppie gay la legge Cirinnà è un buon passo in avanti, per i loro figli tutt’altro.

Sono i nuovi bastardi, che a differenza di quelli di cinquant’anni fa hanno due genitori che non si sognano nemmeno di voltar loro la faccia, che non pensano minimamente a venir meno alle proprie responsabilità. Al contrario, quei genitori li vogliono bene al punto da chiedere che piuttosto gli si riconoscano le loro responsabilità. Ma le parti si sono clamorosamente invertite, stavolta non è un genitore a rifiutarsi di riconoscere il figlio ma è lo Stato a dirgli che non può farlo. Quello stesso Stato che ha progressivamente riconosciuto a ogni bambino, a ogni figlio, il diritto di avere due genitori con le medesime responsabilità verso di lei/lui, oggi viene meno ai suoi stessi principi e dice a chi ha due genitori dello stesso sesso che nel suo caso no, non è possibile. Non può avere due genitori, deve rassegnarsi ad averne uno solo. Se fossero stati un uomo e una donna allora sì, si sarebbe potuto fare, ma con due donne o due uomini non è possibile perché solo uno dei due può essere biologico. Quindi è un bastardo. Nonostante l’origine biologica non sia più requisito indispensabile per il riconoscimento dei figli da tempo, perché diversamente nemmeno le coppie eterosessuali potrebbero adottare.

Rimane il fatto che però quel bambino due genitori sente di averli e li chiama mamma o papà, quindi alla fine ci si trova davanti all’assurda incapacità di prendere atto di un fatto oggettivo. Si potrebbe fare di peggio? Sottovalutando ingenuamente le potenzialità delle nostre istituzioni, che quando sentono parlare di diritti di famiglia si voltano a guardare il più vicino campanile, si sarebbe tentati di pensare che no, non è possibile scendere più in basso. Ma si sbaglierebbe, perché non solo è possibile ma la strada è già stata indicata, e passa per l’istituzione del reato di gestazione per altri.

Stavolta il rischio non sarebbe solo per i bambini che vivono in famiglie arcobaleno bensì per tutti i bambini, anche quelli di famiglie eterogenitoriali, che sono stati partoriti da una donna che non è la loro madre biologica. Bastardi anche questi, e per di più con pseudo genitori fuorilegge che magari stanno scontando, o sconteranno, una pena detentiva per aver commesso il reato di metterli al mondo. Rischio concreto o distopia? Si potrebbe rispondere con l’abusata frase di Manzoni “ai posteri l’ardua sentenza”, se non fosse che i posteri sono nel futuro e noi stiamo invece tornando al passato.

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