Il progetto architettonico del Mudeco finalista al premio Dedalo Minosse. Redatto dagli architetti Sciveres e Gurrieri

Il progetto architettonico che ha permesso il recupero dei bassi del Castello di Donnafugata dove è stato allestito il Mudeco, cioè il museo del costume, redatto dagli architetti Giuseppe Gurrieri e Nunzio Sciveres, ha ottenuto una menzione, ed è divenuto finalista, all’interno del premio internazionale “Dedalo Minosse” di Vicenza. La cerimonia si è svolta venerdì al Teatro Olimpico di Vicenza, opera del Palladio, con la consegna dei riconoscimenti e a seguire, alla Basilica Palladiana, l’apertura della mostra con i vari progetti selezionati. Un apposito pannello è stato dedicato appunto al recupero dei locali divenuti oggi Mudeco. 


Il premio, molto ambito, è rivolto ai progettisti e ai loro committenti ricordando Dedalo architetto e autore del famoso Labirinto e Minosse primo committente della storia. Sciverse e Gurrieri hanno ottenuto la menzione per il progetto realizzato integralmente all’interno del Castello di Donnafugata. Il premio è rivolto al “contenitore”, cioè al museo appunto, e non dunque riferito al suo contenuto, cioè gli abiti. Sono stati due gli obiettivi del progetto di recupero firmato dai due professionisti ragusani: da un lato la riqualificazione architettonica del manufatto con il miglioramento della salubrità degli ambienti, dall’altra l’innesto di microarchitetture per le funzioni museali.

Come obiettivo il progetto aveva il recupero del manufatto architettonico e di miglioramento della salubrità degli ambienti con un approccio conservativo; il secondo riguarda l’innesto di microarchitetture in grado di assolvere alle funzioni del nuovo museo.

Riguardo al restauro conservativo, in accordo con la Soprintendenza, quando necessario sono state effettuate sostituzioni degli intonaci con l’utilizzo di malte a base di calce idraulica; sono state trattate tutte le superfici intonacate con una velatura superficiale a base di puro grassello di calce in pasta con pozzolane, esente da cementi, tesa ad evitare lo sfarinamento; sono state mantenute le volte in pietra a vista, in buono stato, e le volte in gesso.

La strategia degli innesti di microarchitetture ha stabilito che ogni elemento aggiunto dovesse avere un carattere di estrema riconoscibilità, versatilità funzionale e nello stesso tempo di facile smontaggio. I dispositivi architettonici predisposti affrontano lo spazio in modo innovativo e flessibile, in accordo con la curatela della Collezione esposta.

Alle cosiddette “gabbie”, dotate di una struttura metallica autonoma costituita da pilastri scatolari in ferro appoggiati al pavimento, sono installate le luci e i tendaggi in velluto ignifugo naturale COEX, che risolvono il problema dell’oscuramento della luce naturale e ammorbidiscono la percezione dello spazio. Il sistema non intacca la struttura muraria, oscura le bucature esistenti, ovatta l’ambiente, sorregge l’impianto d’illuminazione, direziona il flusso dei visitatori, enfatizza la Collezione esposta.

Un progetto illuminotecnico redatto appositamente ha quindi garantito in ogni ambiente l’illuminazione necessaria al percorso e alla valorizzazione dei manufatti esposti. All’interno della struttura sono alloggiati dei binari elettrificati e possono essere inseriti dei mini spot direzionabili a fascio di luce diretta, dislocati di volta in volta a seconda delle esigenze dell’allestimento.

A corredo, sono stati disegnati ulteriori dispositivi espositivi, come teche e pedane.

L’intervento assume dunque un valore comunicativo molto forte rivelando messaggi e rimandi più o meno espliciti lungo tutto il percorso: il setto iniziale attira i visitatori segnalando il MuDeCo con il colore; le “gabbie” sono un richiamo alla gonna elisabettiana e alla reinterpretazione e stilizzazione della struttura in crinoline; i colori dei tendaggi che si alternano alla pietra a vista sottolineano la teatrale reinterpretazione degli spazi. Tutti i dispositivi introdotti risolvono quindi problemi funzionali e distributivi senza camuffare o nascondere l’esistente: le strutture non negano infatti l’antica architettura ma la rendono percepibile in modo del tutto inaspettato.

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