IL “GRIDO DI DONNA” PIENO DI DOLORE E ATTUALITA’

E’ andato in scena venerdì scorso al cineteatro Lumiére “Grido di donna”, di e con Chiaraluce Fiorito, con la splendida regia di Giannella D’Izzia, all’interno della settima edizione della rassegna teatrale “Palchi DiVersi” nella sezione dedicata alla figura femminile. Lo spettacolo-monologo narra le storie di tre donne ribelli, vicine e lontane al tempo stesso, interpretate sullo stesso palco per evidenziarne la comune sete di giustizia: dall’Antigone di Henry Bauchau alle vite di Felicia Impastato e di Rita Atria, l’adolescente testimone di giustizia suicidatasi dopo la morte del giudice Borsellino. Tre donne coraggiose, ribelli al loro status, unite dalla voglia di riscatto. La Fiorito, bella e trascinante, ha regalato a un pubblico silenzioso e attento delle interpretazioni intense, incarnando i vari personaggi anche attraverso rapidi cambi d’abito e di pettinatura effettuati direttamente sul palco: prima l’abito nero di Felicia Impastato, una donna tanto sofferente da trascinarsi sul palco col sostegno di una sedia, con l’animo scuro come l’abito, e gli arti rigidi quanto tirati i lineamenti.

Il ricordo del figlio, Giuseppe Impastato, ucciso dalla mafia, le strazia l’anima. Poi il tailleur scuro della giovane Rita Atria, la diciassettenne siciliana collaboratrice di giustizia dopo l’uccisione del padre e del fratello: la voce diventa adolescenziale, l’interlocutore è Borsellino, l’animo è carico di voglia di vendetta verso la mafia, che però si trasforma in desiderio di giustizia. Infine la sottoveste bianca di Antigone, la giovane devota figlia di Edipo che sfida i potenti per dare sepoltura al cadavere del fratello, figura intramontabile alquanto moderna e attuale. Persa in un turbinio di emozioni, trasformata nel volto dalla sofferenza, l’attrice ora scende più volte dal palco per avvicinarsi al pubblico e far sentire maggiormente la sua sofferenza, farla quasi toccare all’animo di chi guarda.

Donne coraggiose, ribelli al loro status, unite tra loro da una sete di giustizia morale, etica. Solidali per un inno alla vita, la vita di un fratello, di un figlio, di un essere umano, perché, come sostiene Antigone: “C’è una legge inscritta nel corpo delle donne: tutti i corpi, quelli dei vivi e quelli dei morti, sono nati un giorno da una donna, portati da una donna, curati e amati da lei… Uccidetemi, arrestatemi, ma prima lasciatemi gridare”. Un unico grido per lo stesso diverso dolore. La regista D’Izzia, salita sul palco a raccogliere gli applausi calorosi di una platea entusiasta, ha spiegato che queste tre donne possono solo esprimere con il loro grido l’indignazione e il dolore. Ma il loro grido è la loro stessa catarsi. “Donne capaci di rinunciare a tutto, ma non alla verità e alla giustizia: Rita, Felicia, Antigone, quest’ultima così lontana ma così vicina per l’audacia e la forza rivoluzionaria. Voci di donne fuori dalla menzogna, simbolo del “coraggio del cambiamento”, cercano la strada dell’autenticità e della verità civile. Capaci di un ordinamento nuovo, di una legge non scritta, quella del rispetto della vita umana”.  

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