Il cibo di Montalbano. La cultura gastronomica che Camilleri ci ha tramandato

Non solo paesaggi. Non solo Punta Secca, Ragusa Ibla, Vigata…

L’eredità che ci ha lasciato Andrea Camilleri riguarda anche un aspetto fondamentale della nostra cultura e che contribuisce a creare l’identità di un popolo: il cibo.

“Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. (…) Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. (…) Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s’assittò”.

Questo brano è tratto da “La Gita a Tindari”. Non c’è romanzo in cui non si parli di cibo. Da “Il ladro di merendine” al “La concessione del telefono”, passando a “La forma dell’acqua” fino a “La mossa del cavallo” e “Gli arancini di Montalbano”.

Fra i piatti più famosi, ricordiamo La Pasta ‘ncasciata a’ missinisi, la pasta ‘a Norma, la pasta chi vrocculi arriminata, anilletti ‘u furnu, milinciani a’ la parmiciana, pappanozza di patate e cipolle, caciocavallo passuluna e alive, purpitelli cu sugu, rollè falsomagro o brusciuluni, pane e panelle, pane e cazzilli, sfinciuni, pani c’a meusa, cubaita, cassatedde o ravioli alla ricotta, granita con la brioscia. Solo per citare i più famosi e utilizzando quella “lingua” inventata dal maestro, un misto tra italiano e siciliano con termini che sono entrati di diritto nel nostro parlare quotidiano, come “cabbasisi”, “catamiarsi” e “camurria”.

Immancabili i cannoli siciliani che il commissario Montalbano “rubava” al dottore Pasquano, interprestato magistralmente da Marcello, Perracchio, scomparso nelluglio del 2017. Montalbano mangia nel totale silenzio, meglio se da solo: nemmeno una parola deve interferire con il suo rapporto con il cibo. E’ liccu (goloso) di pasta ‘ncasciata, non può fare a meno delle triglie fritte preparate da Calogero nella sua trattoria in riva al mare preferita e neanche degli arancini della fedelissima cammarera Adelina.

Poi gli arancini, a cui Camilleri ha dedicato un intero libro. Adelina, la donna di servizio del Commissario, li prepara con un ottimo ragù di carne mista (manzo e maiale) con piselli e un risotto classico.

Nonostante una grave ferita d’arma da fuoco allo stomaco (si legge ne “Il cane di terracotta”), Salvo Montalbano non riesce a dire di “no” quando gli viene offerto questo grandissimo piatto della tradizione sicula, i purpitelli cu sugu.

Non è solo tradizione gastornomica. E’, soprattutto, cultura. Quella cultura della tavola che non può mancare mai nelle tavole di noi siciliani.

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